Gianluigi Pescio, pittore minimalista tra ferri, spettri e mummie

Intervista all’artista genovese, punto di riferimento dell’arte concettuale

Gianluigi Pescio, pittore minimalista

Gianluigi Pescio è un caro amico, che conosco da tanti anni. Pur essendo di Genova, ha una casa anche a Imperia e spesso ci siamo incontrati nella pasticceria della mia famiglia per bere e chiacchierare. Abbiamo parlato di tante cose, soprattutto delle influenze dell’arte sulla società e viceversa. E della capacità di certe forme d’espressione di immortalare momenti particolari della storia per tramandarli, senza filtri, ai posteri.

Il suo passaggio dalla pittura figurativa a quella minimalista, nel 2011, mi ha subito incuriosito. Quando nel 2017 Il Secolo XIX mi ha chiesto di realizzare una serie di speciali sui pittori del territorio, ho subito pensato a lui. E ho scoperto cose interessantissime sulla sua opera pittorica, che ora scoprirete anche voi. Buona lettura!

La creatività della natura nel minimalismo di Gianluigi Pescio

Il Secolo XIX, 12 aprile 2017

Le forze della natura e dell’uomo unite per creare opere d’arte uniche e irripetibili. Questo, in estrema sintesi, il presupposto del nuovo ciclo creativo inaugurato da Gianluigi Pescio. Il pittore genovese è stato a lungo un apprezzato paesaggista, con Monet, Sisley e Turner come principali riferimenti. Poi, nel 2011, la svolta minimalista che lo ha avvicinato all’arte concettuale, con opere che, pur confermandolo beniamino di pubblico e critica, gli hanno permesso di esprimersi in modo più personale e innovativo.

L’incontro con il ferro

«Sono diventato un minimalista per caso, dopo aver trovato una lastra di ferro arrugginita fuori dalla bottega di un rigattiere» racconta il pittore. «Era stata abbandonata lì perché priva di qualsiasi valore o scopo. Eppure, guardandola, le tracce lasciate dal processo di ossidazione sul metallo mi fecero pensare a qualcosa di bellissimo come, appunto, un’opera d’arte».

In breve, Gianluigi Pescio ha iniziato a procurarsi altre lastre di ferro, da lasciare a ossidare per giorni e settimane nei dintorni della sua casa di campagna, in mezzo alla natura, per poi utilizzarle come tele di dipinti, o installazioni, su cui esternare, in un minimalismo metaforico, le gioie e i dolori della vita attraverso l’utilizzo di aggetti metallici come sfere e chiodi. Nel 2013, questo primo ciclo di opere minimaliste è stato presentato in una mostra allestita al Museo Sant’Agostino di Genova.

Gli spettri di Gianluigi Pescio

Uno degli Spettri di Gianluigi Pescio

Poi, un altro evento casuale ha portato alla nascita di un nuovo ciclo, quello degli pseudofossili o spettri. «Durante il periodo di ossidazione delle lastre in giardino, è scoppiato un violento temporale che ha flagellato la vegetazione e fatto volare pezzi di piante e di alberi dappertutto» riprende Pescio. «Qualche giorno dopo, quando sono andato a dare un’occhiata, ho notato che una moltitudine di fiori e di foglie si era attaccata alle lastre. Provando a staccarli, ho avuto la sorpresa di vedere che lasciavano sul metallo le tracce delle loro forme e le impronte delle nervature, dando vita a disegni particolari, che mi sono stati subito di grande ispirazione».

Per ripetere il procedimento, Pescio si è divertito ad attaccare fiori e foglie ad altre lastre lasciate a ossidare, e successivamente a staccarli. «Ogni volta sulla tela di metallo c’era qualcosa di nuovo, che per me era un’opera d’arte o almeno il suo principio» prosegue. «Decisi di chiamare quei lavori pseudofossili o spettri perché racchiudevano l’anima della vegetazione che aveva contribuito a crearli. Poi mi accorsi che alcune di quelle immagini, create dalle forze della natura in modo del tutto casuale, mi ricordavano per forme e colori i disegni dei bambini del lager di Terezin. Decisi allora di dividerle in spettri del bosco o del giardino e in spettri di Terezin».

Dopo gli spettri, ecco le mummie di campo

Questo secondo ciclo di arte minimalista è stato presentato nel febbraio del 2016 con una mostra allo Spazio46 di Palazzo Ducale, a Genova. Il catalogo è stato impreziosito da due interventi critici di Stefano Bigazzi e Dayla Venturi. Pescio è da tempo al lavoro sul terzo ciclo, denominato “natura velata”, caratterizzato dalle “mummie di campo”: tele di metallo o di legno con aggetti sia metallici che naturali ricoperti da una pittura acrilica bianca. «Ora ho la sensazione di essere un imbalsamatore botanico» scherza l’artista. «Ma il bianco mi piace e la possibilità di utilizzarlo per caratterizzare opere di collage monocromatiche è stimolante.»

Marco Vallarino