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Storie che diventano giochi, giochi che diventano storie. Così ho presentato, qui sul mio sito, le avventure testuali, il particolare genere di videogiochi di cui mi occupo da oltre trent’anni. Sia come autore che come “consumatore” sono sempre stato affascinato dalla possibilità di giocare dentro la storia. Poter esplorare a piacimento lo scenario in cui la storia si svolge, indugiando su ogni dettaglio, e sperimentando ogni eventuale soluzione ai problemi proposti, è per me molto stimolante e gratificante. Così come trovare, alla fine, il modo giusto di fare ogni cosa. Ma questa particolare opera digitale metaletteraria (e oggi multipiattaforma) è un gioco (un videogioco) o una storia?
Personalmente non ritengo così importante dare una risposta definitiva a questa domanda, che molti si pongono da anni. Tuttavia trovo interessante il dibattito alimentato ancora oggi, nel 2020, da chi sostiene che un’opera ad alto tasso letterario dovrebbe puntare a raccontare una storia anziché a intrattenere con un gioco.
L’arte dell’avventura
Graham Nelson, nel suo saggio The Craft of the Adventure (tradotto in italiano da Marco Falcinelli come L’arte dell’avventura), descrive i videogiochi testuali come una battaglia tra la narrativa e le parole crociate. Questo perché, durante la stesura di una simile opera, spesso la volontà di raccontare una storia va in contrasto con la necessità (o la tentazione) di movimentare lo sviluppo della trama con prove da superare e quindi problemi (puzzle) da risolvere. Le cose peggiorano, sul fronte narrativo, quando la trama proposta è solo una scusa per proporre una serie di sfide legate a un certo tema o ambientazione. D’altra parte, giochi troppo legati alla trama, che si muovono su un canovaccio preimpostato, rischiano di essere poco coinvolgenti.
Le avventure testuali sono nate negli anni 70 negli Stati Uniti e sono state velocemente esportate nel Regno Unito. Inizialmente si chiamavano solo adventure perché all’epoca c’erano solo videogiochi testuali. I computer degli anni 70 e dei primi 80 non erano infatti in grado di fornire una grafica adeguata a opere d’intrattenimento. Divennero text adventure quando iniziarono a uscire anche giochi illustrati. Erano storie orientate all’esplorazione di ambienti selvaggi, misteriosi, insoliti, in cui la trama era perlopiù una scusa per porre il giocatore nel contesto “sfidante” architettato dall’autore.
Cacce al tesoro
Il genere più in voga era appunto quello delle cacce al tesoro. Da Adventure a Zork, da Acheton a Adventureland, i primi giochi a parser erano tutti orientati alla ricerca di oggetti preziosi celati in oscuri sotterranei o sparpagliati in lande selvagge. Talvolta questi tesori dovevano essere anche raccolti in un ordine particolare. L’azione quindi si complicava, pur senza aggiungere particolare spessore alla “trama”. Era però molto divertente, allora come oggi, girare liberamente per decine, a volte centinaia, di locazioni e, appunto, arricchirsi (virtualmente) con pietre preziose, lingotti d’oro, opere d’arte, antichi manufatti. E ogni storia aveva sempre un finale, come un romanzo, un racconto, una qualsiasi altra opera narrativa.
In breve, tuttavia, nacquero avventure testuali più orientate all’interazione con gli altri personaggi e alla raccolta di indizi, anziché di oggetti. Due attività che derivavano dalla ideazione di una trama più strutturata. Il gioco non era sempre uguale a se stesso, come prima. L’ambientazione, con il progredire dell’azione, poteva mutare, come le risposte dei personaggi e le loro reazioni.
Interactive Fiction anziché text adventure
Una delle prime software house a proporre giochi più evoluti dal punto di vista narrativo fu la Infocom. Anche se i suoi successi maggiori rimangono legati alle cacce al tesoro della serie di Zork, la casa di Cambridge produsse pietre miliari del genere investigativo come Deadline, Suspect e Moonmist.
In quel periodo proprio la Infocom creò, per i suoi giochi, la definizione di Interactive Fiction, ovvero narrativa interattiva. Un modo per distinguerli dalle test adventure delle altre software house e valorizzare l’attenzione dei suoi autori al testo, oltre che al design. L’arrivo infatti di computer più potenti e con più memoria, all’inizio degli anni 80, permetteva di scrivere di più, oltre che di aggiungere immagini al testo.
La Infocom puntò proprio sulla cura della scrittura, che a volte fu affidata a celebri professionisti come Amy Briggs e Douglas Adams. Tuttavia anche le sue narrazioni interattive erano, quasi sempre, più orientate al gioco che alla storia. Celebri opere del periodo come Planetfall, Infidel, Starcross, Enchanter ne sono una fulgida testimonianza.
Successivamente anche altre software house utilizzarono parser evoluti e maggiori quantità di memoria per proporre giochi assai ben congegnati (come tali) ma lontani dall’avere senso come storia a se stante. The Guild of Thieves della Magnetic Scrolls è un’altra (sontuosa) caccia al tesoro, così come Scapeghost della Level 9, almeno nella prima parte. Le cacce al tesoro sono del resto un divertimento senza tempo e un canovaccio ideale per un gioco orientato all’esplorazione di luoghi e oggetti.
Interactive Fiction d’autore
Ci furono però eccezioni notevoli, come certe Interactive Fiction tratte da romanzi di successo. Per tutti gli anni 80 sono state pubblicate adventure ispirate a celebri storie di Tolkien, Clarke, Asimov, Bradbury. Particolarmente famosa è The Hobbit della Melbourne House, dove l’interazione con i personaggi è molto curata. Ancora nel 1992 la Legend ha proposto Gateway, avventura fantascientifica tratta dal romanzo La porta dell’infinito di Frederik Pohl. Il pubblico ha molto apprezzato questi giochi d’autore, senza però perdere mai di vista quelli più tradizionali.
In Italia, dopo che le prime avventure erano perlopiù dedicate alla ricerca di tesori e passaggi segreti in antichi castelli e magioni, si è avuta a metà degli anni 80 una vera esplosione di giochi basati su brevi racconti horror, fantasy, noir e di fantascienza e spionaggio. Il guru Bonaventura Di Bello, così come altri autori dell’epoca, ha addirittura creato dei personaggi per contrassegnare le avventure dedicate a generi particolari.
Nigel Stevenson era il personaggio dei giochi fantasy. Morgan Tyler quello dei giochi spaziali. Roy Norton era il giornalista che indagava su terrificanti vicende paranormali. Kenneth Johnson lo sceriffo che doveva far trionfare la legge nel selvaggio West. Terry Jones era l’archeologo avventuriero sempre a caccia di tesori (e di guai). Roger Barrow l’agente segreto. Dick Ironside il superpoliziotto. C’erano pure outsider specifici, come Magnus Tanner, impacciato professore di fisica che sfidava la malavita organizzata per trovare il suo amico scomparso, Mark Williams, e salvare la città da un virus.
Interactive Fiction nell’era Internet
Negli anni 90 e 2000, con l’avvento dell’era Internet, il dualismo tra giochi e storie è continuato. Nel 1999 l’amico Roberto Barabino ha vinto la prima edizione del premio Avventura dell’Anno con Non sarà un’avventura, caccia al tesoro “balneare” ambientata su una spiaggia di Genova. Successivamente, giochi come Uno zombie a Deadville, Flamel, La pietra della luna hanno puntato più sullo sviluppo di una storia di intrigo, attraverso una successione di scene o capitoli, che sulla concatenazione di puzzle.
Poi sono arrivati i giochi della serie di Lazy Jones. Firmati dalla coppia Gabriele Lazzara & Carmelo Paterniti Barbino, erano delle puzzle fest costruite intorno a un personaggio ricorrente. Un esploratore e… cacciatore di tesori. I due amici hanno firmato anche Lo scettro di Terkhen, fantasy umoristico da oltre 100 locazioni. Considerato un kolossal del genere, e additato (giustamente) come capolavoro, propone una insolita caccia al tesoro a base di incantesimi. Per progredire nel vasto scenario, infatti, occorre trovare (e imparare) le magie nascoste in giro.
L’Interactive Fiction oggi in Italia
Nei successivi anni 10 – il decennio appena trascorso – la produzione di Interactive Fiction è proseguita. L’avvento di smartphone e tablet come nuovi ambienti di gioco ha favorito la diffusione dei videogiochi testuali. Qualcuno ha iniziato anche a parlare di ipernarrativa o narrativa 3D, trattandosi di “storie da leggere, scrivere, giocare”. Personalmente ho partecipato a questa rinascita del genere con vari contributi. Alla serie horror di Darkiss (tradotta anche in inglese), si sono aggiunti nel corso del decennio Ayon, Stregatto, Zigamus (gioco promozionale allestito per gli amici del Vigamus di Roma), Déjà vu (scritto a quattro mani con Bonaventura Di Bello) e le avventure didattiche sviluppate con gli studenti del Marconi di Imperia.
Flavio Gavagnin ha invece firmato un apprezzato kolossal fantasy, La stirpe di Soulcanto: una storia di sword & sorcery molto articolata e ambiziosa. Mariano Sassi si è distinto per Manca solo un verso a quella poesia, storia di genere fantastico e dai pregevoli echi letterari. Paolo Lucchesi è tornato in azione con Dietro l’angolo, intrigo dark fantasy basato su una particolare interfaccia punta e clicca. L’amico Umberto Sisia, già saggista e sceneggiatore, ha esordito con una trucida storia horror ambientata in una casa maledetta e ispirata ai racconti weird di Lovecraft. Tutte avventure con un forte approccio narrativo.
Luci della finanza: una caccia al tesoro fuori tempo?
Nella primavera del 2020 ho avuto il piacere di scrivere, programmare e quindi rilasciare una nuova avventura testuale: Luci della finanza.
La storia d’azione ambientata nel mondo del trading ha raggiunto (e superato) in pochi giorni i 100 download. Segno che c’è sempre interesse per questo particolare genere di giochi, anche se… Qualcuno è rimasto stupito che l’avventura fosse strutturata come una caccia al tesoro, anziché come una storia con una trama vera e propria. Il protagonista, Lance Lloyd deve infatti comprare, e quindi collezionare, una serie di titoli azionari. Per farlo, gli servono le informazioni necessarie a capire quali siano gli affari migliori. Informazioni da trovare in giro per il quartiere finanziario.
Come scritto da SoloGames, l’avventura propone comunque una storia piena di azione e colpi di scena. Non è infatti necessario, credo, che il gioco ruoti intorno a chissà quale trama per essere avvincente. Personalmente non mi sono mai preoccupato di distinguere le avventure testuali tra storie da giocare e giochi da leggere. O di usare, come fa qualcuno, la definizione di Interactive Fiction solo per certi giochi. Del resto, già negli anni 80, questa ‘etichetta’ era nata per segnalare una maggiore attenzione alla scrittura, non una certa impostazione creativa.
I tre tipi di avventura testuale nella mia guida teorica
Nel 2018 ho pubblicato una (doppia) guida gratuita per creare avventure testuali multipiattaforma. Nella parte teorica ho provato a distinguere tre tipi diversi di narrazione interattiva. Alla tradizionale caccia al tesoro, ho quindi affiancato la missione e l’indagine. Entrambe possono essere orientate allo sviluppo di una storia, ma in modo diverso, che vi invito a scoprire leggendo appunto la guida e provando i giochi segnalati.
In conclusione non pensa possa esserci, per quanto ben scritta (e narrata), una buona avventura testuale o Interactive Fiction senza dotare la storia di un adeguato comparto ludico, in grado di intrattenere – e magari divertire – quello che in fin dei conti abbiamo sempre chiamato giocatore, anziché lettore. Là fuori c’è già abbastanza letteratura. E in qualunque momento, ognuno di noi, se ha una buona storia in mente, può scriverla così com’è, senza doverci per forza aggiungere elementi ludici o interattivi per tentare di trasformarla in quello che non è: un videogioco.
I videogiochi, del resto, sono una cosa seria. Non ci si improvvisa designer!