Intervista al fotografo toscano premiato a Olioliva per la sua apprezzata attività di olivicoltore
Oliviero Toscani, oltre che fotografo di successo, è anche un appassionato olivicoltore. Nel novembre del 2011, alla fiera agroalimentare Olioliva di Imperia, è stato insignito del prestigioso riconoscimento Frantoi d’Arte. Un tributo al suo talento di spremitore di idee, capace di racchiudere in uno scatto come in una bottiglia d’olio la sintesi della creatività italiana.
“Ho sempre pensato che la Liguria facesse parte del mio destino e ricevere questo premio me lo ha confermato” ha esordito Oliviero Toscani alla premiazione, nella sala convegni della biblioteca civica di Imperia. “Si tratta di una terra che mi affascina e non solo per la forma particolare. Qui si mangia bene, poi ci sono ottimi cantautori e musicisti. A livello architettonico, Genova è forse la mia città italiana preferita. Però ciò che più mi piace è la costa, dove crescono gli olivi”. È d’accordo con chi ritiene l’olio di oliva un prodotto tipicamente ligure? “Per me l’olio non ha passaporto, in quanto l’olivo cresce sulle sponde del Mediterraneo, dal Nord Africa alla Spagna, dall’Italia alla Grecia. Poi la sua qualità dipende da come viene lavorato, franto, trattato e in questo noi italiani non abbiamo rivali”.
Creatività e coraggio contro la crisi
Allora come spiega questa crisi? “Dipende da motivi culturali. In Italia, la patria dell’ingegno e della creatività, facciamo passare come cultura ciò che non è qualitativo. Idee e prodotti volgari, senza dignità, dilagano perché costano poco e non si parla d’altro. La gente non sa più dare il giusto valore alle cose. Pensa sia un affare comprare una bottiglia di olio di oliva a un euro e venti, anche se si tratta di veleno.” Com’è stato possibile cadere così in basso? “La causa principale dell’apparente fallimento del sistema Italia credo sia la mancanza di generosità. Per risalire la china occorrerebbero una maggiore creatività negli investimenti e più coraggio sul fronte della comunicazione. Ma forse basterebbe prendere esempio dal Brunelleschi e da chi gli stava intorno seicento anni fa”.
Che c’entra il Brunelleschi? “C’entra perché, all’epoca in cui propose di realizzare la cupola di Santa Maria del Fiore, nessuno credeva fosse possibile fare una cosa del genere. Eppure la città lo finanziò lo stesso. Si fidò della sua ambizione e del suo talento, e oggi il risultato è sotto gli occhi di tutti.” E quindi? “In Italia le cose vanno male perché non si dà più fiducia a chi vuole fare impresa partendo semplicemente da un’idea, da un talento, o almeno provarci. Si vuole andare troppo sul sicuro, senza pensare che non c’è più niente di sicuro”. Per questo ci vuole più coraggio? “Innanzi tutto ci vuole generosità. Il coraggio deve essere una conseguenza della reale disponibilità a finanziare certi progetti, senza chiedere nulla in cambio o quasi. In fondo è così che è nato il mito del Made in Italy nel mondo”.
Fare sistema è importante per sostenere la propria categoria imprenditoriale
Dalle sue parole, sembrerebbe che siamo entrati in un circolo vizioso. “È così! Le banche continuano a accumulare capitali con l’unico scopo di rafforzare i propri imperi finanziari. Non pensano minimamente a dare ossigeno alle imprese e quindi all’economia del paese.” Però non può essere tutta colpa delle banche se siamo in questa situazione. “Hanno sbagliato anche gli imprenditori. La nostra incapacità di fare sistema è sotto gli occhi di tutti. Io non ho mai sentito un francese o uno spagnolo parlare male dei propri concorrenti, mentre per gli italiani è quasi uno sport. E non ci si rende conto che un simile atteggiamento serve solo a danneggiare la categoria.”
Quindi va migliorata anche la comunicazione? “Bisogna che ci svegliamo, e in fretta. A livello di rappresentanza, gli americani ci hanno già scippato la pizza, i danesi il gelato, gli svizzeri il caffè. E tra poco toccherà agli spagnoli con l’olio di oliva, l’ingrediente principale della nostra tavola.” La concorrenza è spietata. “Questo non è vero. Gli italiani sono i primi al mondo nel fare le cose bene. Ma ormai siamo rimasti a fare solo borse e scarpe, cioè prodotti da terzo mondo. Eppure continuiamo a vantarci di essere dei geni.” Come si torna sulla cresta dell’onda? “Va incoraggiato l’artigianato, anziché mandare i figli all’università per farli diventare incompetenti e disoccupati. Quando si capirà che l’Italia è fatta dall’arte e non dalle banche, ritroveremo il ruolo da protagonisti che ci spetta nel mondo e nessuno ci riderà più dietro.”
Marco Vallarino