Recensione del libro di Aldo Agostinelli e Silvio Meazza
Nel dicembre del 2017 ricevetti dal mio capo di Libero, Francesco Specchia, il rapporto annuale sulla cultura dell’innovazione. Il documento, curato da Agi, Censis, Cotec, presentava un quadro allarmante del rapporto degli italiani con il digitale. In base alle testimonianze raccolte per comporre il sondaggio, molti avevano ancora paura dei computer. L’impatto delle nuove (e vecchie) tecnologie spaventava una parte considerevole del campione intervistato.
Chiamato a scrivere un articolo di commento, decisi di rispondere con la recensione di un libro appena pubblicato da Mondadori Electa: People are media. Un testo che aiutava – e aiuta – a dissipare molti dubbi (alcuni legittimi) sul digitale. E che dimostra come ogni aspetto della rivoluzione tecnologica, anche quello all’apparenza più inquietante, abbia almeno un lato positivo. In fondo, anche 2001: Odissea nello spazio e Terminator hanno avuto un lieto fine. O no?
In Italia i computer fanno ancora paura
I computer, i robot e l’innovazione in generale fanno ancora paura? In Italia sì. Stando al rapporto sulla cultura dell’innovazione curato da Agi, Censis, Cotec e presentato ieri, non sono in pochi a temere le presunte insidie del digitale. Certo, non sono la maggioranza, ma un considerevole 27,6% del campione intervistato ritiene che l’innovazione porterà, o stia già portando, sia benefici che problemi (20,3%) o addirittura più problemi che benefici (7,3%).
A quasi cinquanta anni di distanza dal film 2001: Odissea nello spazio, in cui il computer Hal 9000 impazziva e faceva strage di astronauti, a oltre trenta da Terminator, in cui un robot arrivava dal futuro per uccidere l’unica persona in grado di impedire alle macchine di sottomettere il genere umano, molte persone – o almeno più di un italiano su quattro – vedono ancora non solo luci ma anche ombre nel rapporto con le tecnologie che, secondo gli esperti, dovrebbero rendere l’uomo più umano, allontanandolo dalle fatiche e i pensieri che lo angustiano da secoli.
I robot ci rubano il lavoro?
I robot ci rubano il lavoro, I governi e le multinazionali ci spiano attraverso i social network, e ancora La digitalizzazione ci rende schiavi dei computer sono alcune delle grida di dolore che si odono in giro. Il diavolo informatico non è così brutto come lo si dipinge a colpi di pixel, eppure i pericoli ci sono, soprattutto in Italia.
Il Belpaese, forse per l’orgoglio delle sue origini contadine, è sempre stato in arretrato di innovazione tecnologica rispetto non solo agli avanzatissimi Stati Uniti e Giappone, ma anche ai meno intraprendenti vicini europei. Per questo l’avvento del digitale, benché pervasivo e inarrestabile, rischia di impattare sul tessuto economico e sociale in maniera meno positiva che altrove. È stato più volte argomentato che l’avvento della robotica nel settore operativo creerà nuovi tipi (e quindi nuovi posti) di lavoro in ambito gestionale. In Italia, non sembra esserci ancora posto per simili, favorevoli mutazioni. I social media, quasi ovunque, sono diventati occasione e strumento di lavoro, per chi è abbastanza motivato e ingegnoso. In Italia, molti si limitano a usarli per ostentare il proprio (presunto) successo o per spiare gli altri.
Eppure la digitalizzazione ha favorito un processo di disintermediazione che era atteso e necessario. Ha migliorato il rapporto del cittadino con la pubblica amministrazione e dell’utente con le aziende. In Italia, per motivi presumibilmente anagrafici o culturali, ci sono ancora tre milioni di persone, tra i 18 e gli 80 anni, che si connettono raramente e quindi sono sempre più lontane dalla vita sociale, culturale, amministrativa.
People are media
A rendere il quadro digitale meno fosco, hanno provveduto Aldo Agostinelli e Silvio Meazza con il libro People are media. Il business digitale nell’era dei selfie (ed. Mondadori Electa, 224 pagine, 19,90 euro). L’uno è vicepresidente italiano dell’Interactive Advertising Bureau. L’altro fondatore della agenzia di comunicazione M&C Saatchi. Nel libro, che si apre con la prefazione del guru del digitale Marco Montemagno, i due esperti hanno analizzato pregi e difetti dell’avvento di Internet, che ha cambiato per sempre le vite di tutti, anche di chi è rimasto offline.
La diagnosi che ne emerge è che sarà pressoché impossibile tornare indietro, ma non ci sarà da preoccuparsi, o almeno non così tanto. Ogni aspetto della digitalizzazione, anche quello all’apparenza più inquietante, sembra nascondere un lato positivo. La cache del computer, per esempio, può sembrare una faccenda perlomeno imbarazzante, perché – finché non viene cancellata – contiene tutte le informazioni relative a quello che abbiamo cercato (e trovato) online. Chiunque riesca ad accedere a quella cartella può sapere tutto di noi. Eppure questo può rappresentare (anche) un vantaggio perché permette ai siti su cui siamo stati, tramite i file che hanno depositato nel nostro dispositivo, di proporci i contenuti più adatti ai nostri gusti.
I social network e le chat ci hanno reso rintracciabili ovunque, anche in momenti e luoghi poco opportuni, ma ci hanno anche permesso di comunicare di più e meglio. Infine, grazie al digitale, è stata vinta la battaglia con il tempo. Ora si può fare di tutto e di più in meno tempo. Qualunque tipo di conoscenza è a portata di click. La possibilità di fare nuove esperienze, dentro la rete e fuori, è in costante aumento e sarebbe un peccato non approfittarne.
Marco Vallarino