Alice nel paese dei mostri

Racconto horror pubblicato in “Le Realtà in Gioco” (Multiplayer, 2013)

1.

Alice cominciava a sentirsi assai stanca di stare al bar del paese senza far niente. Aveva sbagliato a tornare lassù da sola, per fare lunghe camminate, respirare aria buona, scoprire le meraviglie della natura e… dimenticare. Si annoiava a morte, in giro c’erano solo vecchi bavosi, da cui si teneva al largo, e il tradimento del suo (ex) ragazzo era sempre nella sua testa!

Realtà in gioco

Per fortuna era arrivato Giacomo. Biondo, palestrato, con gli occhi azzurri, ostentava un’espressione glaciale che, insieme alla giacca di pelle nera, gli conferiva un’irresistibile aria da killer.

Alice lo aveva visto mentre leggeva il giornale e prendeva il caffè, e si era data da fare per attaccare bottone. Per andare sul sicuro gli aveva chiesto la strada per il castello. La conoscevano tutti, anche lei. Il castello era l’unica cosa che ci fosse da vedere da quelle parti. Lui però non ne sapeva niente. Era la prima volta che passava di lì, spiegò. Si alzò per andarsene, ma Alice lo trattenne chiedendogli di dove fosse e come si chiamasse.

L’altro aveva abbozzato un sorriso enigmatico, rispondendo: «Giacomo.» Poi aveva pagato ed era uscito. Senza farsi vedere, Alice lo aveva seguito fuori, attraverso il paese, fino alle ultime case. Nel primo pomeriggio il sole splendeva nel cielo sgombro di nuvole ma, quando i due si erano infilati nel fitto bosco che costeggiava la strada, giù per una scarpata, tutto si era fatto buio.

Non c’era voluto molto perché, nell’intrico di foglie, rami, tronchi, radici, cespugli, Alice perdesse le tracce del ragazzo. Chissà dov’era andato, le sarebbe piaciuto saperlo, ma forse era meglio tornare indietro. Il bosco si estendeva per chilometri e, proseguendo, sarebbe stato difficile trovare un altro pezzo di strada che passava per il paese.

Girare sui tacchi servì a poco. Alice camminò per un’ora buona non vedendo altro che alberi. Ormai anche tornare indietro era un problema. Prese il cellulare per chiamare qualcuno che la venisse a cercare, ma non c’era campo tra le inquietanti ombre del bosco.

A fatica ricacciò indietro le lacrime e ragionò: «Da qualche parte arriverò se continuo a camminare.»

Si mise in marcia e poco dopo avvistò una macchia scura muoversi tra gli alberi.

«Giacomo!» chiamò riconoscendo la giacca di pelle nera.

Il ragazzo si girò a guardarla. Fece una smorfia, mentre l’altra lo raggiungeva, poi sbottò: «Cosa diavolo ci fai qui?»

Alice gli carezzò un braccio e sorrise. «Scusa, non volevo spiarti» esordì impacciata. «Ma sei l’unico tipo carino che abbia incontrato al paese e non volevo perderti. Quassù ci sono solo vecchi e io mi annoio a morte. Una volta almeno venivo col mio ragazzo, prima che mi lasciasse per quella str…»

«Basta così» la interruppe Giacomo. «Non voglio sapere altro, ormai il danno è fatto. Seguendomi nel bosco, anche tu sei entrata in gioco e adesso non ho idea di come farai a uscire.»

«Ma cosa dici? quale gioco?»

«Il gioco di Ovranilla, il paese dei mostri. È un luogo solitamente inaccessibile, ma in certe occasioni, trovando un varco, non è difficile entrarci senza neppure rendersene conto, come è successo a te. Oggi per esempio è venerdì 17, uno dei giorni migliori per entrare o uscire. Ma vanno bene anche i pleniluni, il 30 aprile, il 31 ottobre, il solstizio d’inverno, il Capodanno e altre date particolari come il 29 febbraio. Purtroppo per te è possibile uscire da Ovranilla solo fino a mezzogiorno. Dopo si può soltanto entrare. Ti consiglio quindi di trovare un altro modo per tornare nel tuo mondo, perché girovagando per questo bosco rischi di finire in guai grossi.»

«È carino ma è fuori come un cancello» pensò Alice prima di dire: «Va bene, Giacomo, se è davvero così pericoloso girare da queste parti, vuol dire che verrò con te. Così ci sarà qualcuno pronto a difendermi!»

Fece per baciarlo, ma il ragazzo si ritrasse. «Meglio di no. Tra poco potrei essere costretto a ucciderti.»

Alice sgranò gli occhi.

«Devi proseguire da sola» continuò Giacomo. «Andando verso ovest dovresti arrivare in città. Lì forse troverai il modo di tornare indietro. Tutto quello che posso fare per te è darti le mie caramelle.»

Le porse una bustina di spessa carta nera, con un bordo strappato e ripiegato. Sotto il disegno di un teschio, c’era scritto: Deadhouse’s «Darkman’s Friend». Il retro spiegava: «Gusto mozzafiato» pensò il farmacista John Doe quando nel 1866, per aiutare i visitatori a combattere le dure condizioni del Paese dei Mostri, creò Darkman’s Friend. Il suo potere è disponibile in vari colori: blu, azzurro, viola, verde, giallo, arancione, rosso, bianco, grigio e nero.

«Ti saranno utili, vedrai» concluse Giacomo, prima di riprendere il cammino.

«Aspetta, dai!» lo fermò Alice afferrandolo per la manica della giacca. «Vuoi davvero lasciarmi qui, dopo questa messinscena?»

«Vuoi capirlo o no che è per il tuo bene? Questo è il Paese dei Mostri, la gente viene apposta per scannarsi a vicenda. Lo vedi questo?» Tirò fuori un rasoio a serramanico. «Mai sentito parlare di Jack lo squartatore? Vuoi davvero che ti mandi in game over innaffiando col tuo sangue le piante del bosco?»

Alice impallidì. «No, ti prego» rispose con un filo di voce.

«E allora vai per la tua strada e non mi seccare.»

Giacomo (Jack?) ripose il rasoio nella tasca della giacca e in un attimo scomparve tra le ombre del bosco.

«Vi prego, ditemi che è uno scherzo» mormorò Alice agli alberi, senza ricevere risposta.

A malincuore si avviò nella direzione suggerita dal ragazzo. L’idea di trascorrere la notte nel bosco le dava i brividi e, quando scorse un rettangolo grigio al di là degli alberi, tirò un sospiro di sollievo. Una casa, o qualcosa di simile. La raggiunse di corsa, ma le sue aspettative andarono deluse. Non si trattava della parete di una casa, bensì di un muro di cinta, alto circa tre metri, che si estendeva nel bosco per chissà quanto. Lo costeggiò, sperando di trovare un varco o raggiungerne la fine, ma invano.

«Qualsiasi cosa ci sia dall’altra parte» pensò «sarà meglio di questo bosco tenebroso.»

Il muro era così liscio che per scavalcarlo dovette arrampicarsi sull’albero più vicino e saltare da lì. Quello che vide quando fu in cima non le piacque per niente.

Cipressi. Croci. Lapidi. Statue di pietra. Tombe a perdita d’occhio. Al di là del muro, il bosco cedeva il passo a uno sconfinato cimitero, proprio mentre il sole tramontava.

«Com’è possibile che ci sia un cimitero così grande da queste parti? In paese non ci sono mai stati più di trecento abitanti.»

Fu tentata di tornare indietro, ma il pensiero di Giacomo, in giro per il bosco con il rasoio a serramanico, la convinse a passare dall’altra parte. Scese davanti a una lapide che riportava la foto di un’anziana signora mai vista, con un nome mai sentito.

Allontanandosi dal muro, avanzò tra le tombe in cerca di un passaggio che conducesse a luoghi meno ostili.

«Dovrà pur esserci un’uscita» sperò, ma ormai era chiaro che la sua logica faceva acqua da tutte le parti. Per quanto assurdo, il discorso di Giacomo sembrava ogni momento più vero. Era entrata, chissà come, in un gioco più grande di lei, in cui perdere sarebbe stato un bel guaio. A un tratto la terra si mise a tremare.

Aveva visto tante volte quelle mani uscire dall’erba tra le lapidi. Poi le teste e i corpi putrefatti. Li aveva visti tante volte, ma in televisione. Adesso invece erano lì con lei, gli zombi, pronti a farla a pezzi e a divorarla.

Alice scappò, ma il cimitero non aveva fine e loro erano dappertutto. Anche il muro da cui era scesa non si vedeva più. Presto gli zombi l’avrebbero circondata e allora non ci sarebbe stato scampo. Disperata, infilò le mani nel cappotto blu, alla ricerca di qualcosa che potesse aiutarla, e trovò le caramelle di Giacomo.

Infilò le dita nella bustina e recuperò una pallina nera e morbida. Dall’odore sembrava liquirizia. Se la cacciò in bocca e iniziò a masticarla, continuando a correre per non farsi prendere dagli zombi. Quasi subito cominciò a sentire caldo alle mani. Le dita addirittura bruciavano. Si guardò le unghie e notò che erano diventate nere. Gli zombi le erano addosso.

Alzò le braccia per respingerne uno che stava per acciuffarla e vide una scarica di raggi neri partire dalla punta delle dita e colpire lo zombi. Il corpo del mostro prese fuoco e si incenerì sotto il suo sguardo esterrefatto.

«Grazie, Giacomo» pensò prima di puntare le mani contro un altro zombi, ottenendo lo stesso risultato devastante.

Continuò fino a non sentirsi più le braccia. Ricoprì lapidi e croci di polvere nera, ma la quantità di morti viventi che infestavano il camposanto non accennava a diminuire. Poi la sensazione di caldo alle mani cominciò a attenuarsi.

«Devo trovare un riparo» si disse. «Il potere della caramella si sta esaurendo.»

La chiesa le apparve in lontananza come un’oasi nel deserto. Fulminò ancora la mezza dozzina di zombi che si frapponeva tra lei e l’entrata, poi si precipitò dentro bloccando la porta con le panche sistemate in fondo alla navata.

«Benvenuta!» la salutò qualcuno alla sue spalle.

Alice si girò e vide che sul presbiterio, timidamente illuminato dalla fioca luce delle candele, era comparso un uomo.

«Chi è?» chiese con un filo di voce.

«Non avere paura, figliola» l’apostrofò l’uomo venendole incontro.

Alice si tranquillizzò quando vide che indossava una tonaca nera col colletto bianco.

«La prego, almeno lei che è un prete, mi aiuti. Devo tornare a casa, ma ho perso la strada e fuori ci sono quei mostri orribili» raccontò in lacrime.

«Ma certo, cara, non temere. Vieni con me, ti mostrerò la strada per tornare a casa. E non preoccuparti degli zombi, non oseranno mai entrare in questo luogo sacro.»

L’uomo la condusse a una porticina a lato del presbiterio. Guardandosi intorno Alice notò che mancava qualcosa.

«Come mai non c’è la croce, dietro l’altare?» chiese incuriosita.

«La stiamo facendo riparare, la settimana scorsa è caduta e si è rotta.»

Il prete aprì la porticina, prese una candela e entrò, seguito da Alice.

«La sacrestia» annunciò nella penombra di uno stanzone con le pareti ricoperte di scaffali carichi di libri. «Da qualche parte dovrebbe esserci la mappa del cimitero. Vieni, aiutami a cercarla.»

«Ma come, lei non conosce la strada per uscire?»

«No, purtroppo. Una volta la sapevo, poi l’ho dimenticata. Sai, sono tanti anni che vivo qui.»

«Lei vive qui?! In mezzo a questo orrore? Ma come fa? dove dorme? e dove prende da bere e da mangiare?»

«Certo che sei curiosa! Ma non volevi uscire dal cimitero e scappare dagli zombi? Comunque vieni, ti faccio vedere la mia stanza così forse smetterai di fare domande.»

La guidò a un’altra porticina, ancora più piccola. Aprì e entrarono.

«Guarda» disse l’uomo porgendole la candela, «è tutto laggiù, dietro quella tenda.»

La ragazza esitò, ma il prete insisté: «Coraggio, vai. Non aver paura.»

Alice scostò la pesante tenda nera e guardò.

Un letto. Cumuli di provviste a lunga conservazione. Un recipiente per l’acqua piovana. Se Alice avesse trovato almeno una di queste cose, non avrebbe urlato. Invece urlò, coprendo il rumore del prete che chiudeva la porta e dava due giri di chiave.

Rimase a fissare impietrita la bara nascosta dietro la tenda, finché non sentì la mano del prete toccarle una spalla. Si girò e vide due occhi rossi che la fissavano malevoli.

«Visto come si fa a stare qui?» l’apostrofò l’uomo. Sogghignò, mettendo in mostra due canini lunghi e acuminati. «Vieni, vedrai che ti piacerà!»

Tentò di afferrarla per morderla, ma la ragazza si ritrasse in tempo per sfuggire alla presa. Inciampò e cadde nella bara.

Il prete sghignazzò, dicendo: «Così sarà più divertente.»

Si chinò su di lei, mentre Alice era alla disperata ricerca di una caramella che potesse toglierla dai guai. Nel buio della stanza, non riuscì a vedere di che colore fosse, ma quando cominciò a masticarla sentì subito un sapore pessimo e fu tentata di sputarla. Poi capì.

Aglio, è una caramella all’aglio!

Alitò sul volto del vampiro un attimo prima che la mordesse. Il mostro si ritrasse inorridito e urlò. Alice alitò ancora poi lo spinse via di lato, facendolo cadere a terra, nell’angolo più buio della stanza.

Uscì dalla bara e corse verso la porta. La chiave era ancora nella toppa.

Il vampiro si rialzò, pronto a saltarle di nuovo addosso.

«Stammi lontano, bastardo» gridò Alice aprendo la porta. «Altrimenti ti faccio fare una bella scorpacciata d’aglio!»

Appiccicò la caramella sulla porta e uscì, chiudendola a chiave dall’esterno. Cercare la mappa del cimitero tra le scartoffie della sacrestia era un lusso che non poteva permettersi, il potere dell’aglio sarebbe durato ancora per poco. Meglio salire sul campanile e dare un’occhiata da lì.

La luna piena brillava nel cielo e l’aria era fredda. L’uscita non era lontana. L’enorme cancello di ferro arrugginito era chiuso, ma con un po’ di sforzo si sarebbe potuto scavalcare anche quello. Il difficile sarebbe stato arrivarci. Il cimitero era pieno di zombi e la chiesa quasi circondata.

«Qui ci vuole un’altra caramella,» pensò Alice prendendo la bustina.

Ne rimanevano tre: la rossa, la bianca e la grigia.

Decise di andare in ordine alfabetico e scelse la bianca. Sapeva di menta. Mentre la masticava vide le mani diventare sempre più pallide. Si tirò su le maniche della giacca e notò che anche le braccia sbiancavano. E le spalle. Il seno, la pancia, le gambe e, con tutta probabilità, anche il collo e la faccia.

Continuò a impallidire fino a diventare diafana. Come un fantasma. Fu allora che si alzò in volo.

Dalla cima del campanile si librò sulle orde di zombi che affollavano il cimitero, fino a raggiungere e superare il cancello. L’effetto della caramella si esaurì poco dopo, ridandole il colore e il peso dei vivi. Atterrò nel mezzo di una desolata brughiera, nel cuore della notte.

Si rimise in cammino, nella direzione opposta al cimitero, sperando di trovare la città di cui le aveva parlato Giacomo. E magari il modo di tornare a casa. Per quanto noiosi, i vecchi del paese erano meglio di zombi e vampiri.

Aveva fatto solo pochi passi quando sentì un ululato.

«Ci mancava il lupo mannaro!» pensò rimettendo mano alle caramelle. Ormai non aveva quasi più paura, sapeva che c’era una soluzione – una caramella, più precisamente – per tutto.

Il licantropo arrivò quasi subito, sbucando da una macchia d’alberi poco lontana. Un colosso di pelo nero con due terrificanti occhi gialli e una parata di zanne acuminate, da cui pendeva un lungo filo di bava che scintillava alla luce della luna.

Il mostro ringhiò e si preparò ad attaccare.

Alice si cacciò in bocca la caramella grigia e ricominciò a masticare. Per poco non si spaccò un dente. La caramella era dura come l’acciaio, impossibile da spaccare o schiacciare. Provò a succhiarla, ma non sentì alcun sapore.

Il licantropo stava per saltarle addosso.

«Ho sbagliato caramella» pensò Alice. «Dovevo mangiare quella rossa.»

Stava per riprendere la bustina, poi le venne un’idea.

«È dura, è grigia, ma certo! È un proiettile d’argento! Glielo devo sparare con la bocca!»

Un istante prima che il mostro le fosse addosso, Alice prese fiato e gli sputò la caramella contro.

Colpito e affondato, il lupo stramazzò a terra privo di vita.

Alice sorrise soddisfatta e si rimise in marcia. Raggiunse le prime abitazioni poco dopo, ma non ebbe il coraggio di bussare a nessuna porta per chiedere aiuto. In un posto come quello, ogni casa poteva nascondere un mostro e non voleva sprecare l’ultima caramella per un altro zombi o vampiro. Prima doveva trovare il modo di tornare indietro.

La prima persona che incontrò per strada fu una bambina. Piangeva seduta sul bordo di una fontana.

«Perché piangi?» chiese Alice avvicinandosi.

«Devo tornare a casa, ma non trovo più la strada. E tra poco arriva Jack lo squartatore a tagliarmi la gola.»

«E perché dovrebbe tagliare la gola proprio a te?»

«Perché col sangue dei bambini riesce a fare dei buchi per terra che portano ad altri mondi, più belli.»

Alice si mise in bocca la caramella rossa e cominciò a masticare. Sapeva di fragola.

Il viso della bambina si illuminò. «Le caramelle, che buone! Me ne dai una, per piacere?»

Alice mise la mano in tasca.

«Certo, te la do subito» rispose. «Ma tu apri la bocca e chiudi gli occhi.»

«Che bello, che bello!» esclamò la bambina. Batté le mani eccitata, chiuse gli occhi e aprì la bocca.

Un attimo dopo aveva la gola tagliata da un orecchio all’altro, col sangue che colava copioso sul bordo della fontana.

Alice sorrise. Posò il rasoio a serramanico che le era comparso nella tasca dopo aver mangiato la caramella rossa, poi spostò il cadavere della bambina in modo che il sangue cadesse sul selciato della piazza. Aspettò che si formasse una pozza abbastanza ampia, ci saltò dentro a piedi uniti, precipitò e scomparve.

Per leggere la seconda e ultima parte di questo racconto scrivi a ovranilla @ gmail.com :)