Racconto noir pubblicato in “Liguria in giallo e nero” (Frilli, 2006)
La ferale notizia gli arrivò mentre mangiava un piatto di acciughe marinate. Il tema di Profondo rosso che aveva scelto come suoneria del cellulare non era mai stato più appropriato. All’altro capo della linea la voce di Francesco si fece ancora più roca del solito nel comunicargli che Giorgia si era licenziata e stava per lasciare la città… per andare a lavorare a casa di quel maniaco dell’avvocato.
«Ma come può avere deciso di andare da lui?» chiese Alberto buttando nella spazzatura le acciughe rimaste nel piatto, dopo che il suo appetito era stato messo al tappeto dal ricordo delle gesta del vecchio bavoso, ansioso di conquistare le simpatie della bella cameriera.
«È stata costretta a farlo» rivelò subito Francesco, proprietario del locale in cui Giorgia lavorava. «Pare che, in cambio dei suoi servizi, l’avvocato le abbia promesso di pagare per intero il costo dell’operazione al cuore che il fratello dovrà fare in America.»
«Cosa?» sbottò l’altro. «Ma sono centomila euro!»
«E allora? che cosa vuoi che siano per uno come lui? Con tutto quello che fa, ci metterà sì e no una settimana a guadagnarli.»
Alberto si alzò. Non si riusciva più a stare seduto. «E lei ha accettato?» domandò di nuovo, paonazzo.
«Non aveva scelta. Luca sta sempre peggio, deve essere operato il prima possibile. E noi, anche con tutto il casino che abbiamo fatto in questi mesi, siamo riusciti a racimolare soltanto poche migliaia di euro. Sai bene che non ce l’avremmo mai fatta a trovare i soldi necessari per l’operazione e penso che anche lei lo avesse capito da tempo. Per questo ha accettato, perché tiene alla vita di suo fratello molto più che alla sua. Altrimenti non sarebbe la Giorgia che conosciamo. E che, lo sai, amiamo.»
«Beh, ma dopo l’operazione tornerà, no?»
Silenzio. Alberto capì che il peggio doveva ancora arrivare.
Francesco sospirò e rispose: «Temo che sarà impossibile. L’avvocato sapeva di tenere il coltello dalla parte del manico, così non si è accontentato di mettere Giorgia sotto chiave per qualche mese. So che può sembrare pazzesco ma, stando a quanto mi ha raccontato lei stanotte, tra le lacrime, prima di andare via, il contratto che ha firmato la obbliga a stare da lui per dieci anni.»
Alberto non sentiva più le gambe. «Dieci anni!» ripeté prima di lasciarsi crollare sulla sedia.
«Già.»
«Ma ci sarà un modo per annullarlo o rescinderlo, no?»
«Certo, ma il problema sarà anche peggiore di quello che abbiamo adesso. Sul contratto che mi ha fatto vedere Giorgia c’è scritto che, per ottenere una risoluzione anticipata dell’accordo, bisogna pagare una penale di centocinquantamila euro. Stanotte non ho chiuso occhio pensando a un modo per fregarlo, ma quel bastardo sembra essersi messo in una botte di ferro.»
«Vedrai che lo troveremo, il modo di salvarla!» s’infiammò l’altro, stringendo il cellulare fin quasi a spaccarlo. Sai già quando dovrà partire?»
«Lunedì mattina» annunciò Francesco con tono sempre più fosca. «Domenica sera chiuderò il locale e inviterò tutti gli amici di Giorgia per fare una festa d’addio. Cosi almeno la saluteremo per bene e lei potrà cantarci ancora qualcosa. Poi speriamo che l’operazione al cuore di Luca sia un successo. Giorgia ha già sofferto abbastanza dopo la morte dei genitori, sarebbe terribile se il suo sacrificio si rivelasse vano.»
«Non oso pensare a quanto potrebbero diventare lunghi per lei questi prossimi dieci anni.»
«Neanch’io ma, almeno domenica sera, dovremo sforzarci di sorridere. Poi bisognerà trovare il modo di affogare quel bastardo dell’avvocato nel nostro mare di lacrime!»
La festa riempì il locale come un uovo, la gente arrivò da ogni angolo della Riviera. La notizia della dipartita di Giorgia si era sparsa più del previsto e nessuno aveva voluto rinunciare a un’ultima occasione per vederla e… sentirla cantare. Luca stava già troppo male per partecipare e fu costretto a rimanere a casa, ma tutti davano per scontato che l’operazione sarebbe andata bene, con quello che era costata. Francesco avrebbe preferito che Giorgia non lavorasse, ma la ragazza insisté per vestire ancora una volta i suoi comodi – come li definì – panni di cameriera e continuare a servire, come se niente fosse, i tanti amici che proprio al King’s Club aveva conosciuto. Del resto il bianco e il nero dell’uniforme le avevano sempre donato, pure l’avvocato glielo diceva sempre.
Verso la fine della serata trovò anche il tempo per fare una capatina sul palco del karaoke. Per l’ennesima volta la platea si sciolse come neve al sole ascoltando le sue interpretazioni dei più struggenti successi della canzone italiana. Il fisico da top model, i riccioli biondi sciolti sulle spalle, gli occhi azzurri e il sorriso smagliante non erano nulla in confronto alla sua dolcissima voce, che avrebbe fatto innamorare pure i soci fondatori del club dei misogini.
«Giorgia, tu non puoi andare via!» le intimò Alberto facendola sedere sulle propria ginocchia e prendendole le mani tra le sue, mentre il vassoio precipitava a terra con inevitabile fracasso. «Lascerai un vuoto incolmabile in città, il King’s Club dovrà chiudere per lutto!»
«Devo andare!» esclamò lei alzandosi prima che l’altro potesse continuare. «C’è in ballo la vita di Luca, lo sai. E poi è vero che dieci anni sono lunghi, ma avrò pure un giorno libero alla settimana, per tornare a casa, no? Senza contare le ferie. E comunque vi chiamerò tutti i giorni.»
«Certo!» siglò l’altro stringendola a sé. «E noi saremo sempre qua, ad attendere che tu ci dica chi hai deciso di sposare. Guarda che io un po’ ci spero!»
«Alberto, fai il bravo!» l’apostrofò la ragazza divincolandosi. «E ricordati che conto anche su di te per il mio fratellino. Tienilo d’occhio, per lui sarà molto difficile affrontare questa situazione, quando si sarà rimesso dall’operazione.»
«Anche per noi sarà dura» concluse Alberto. «Ma in qualche modo ce la caveremo. E fin da ora ti assicuro che a Luca non mancherà nulla. A parte te, ovviamente.»
«Grazie» mormorò ancora Giorgia, chinandosi a baciarlo sulle labbra, prima di raccogliere il vassoio e scappare verso il bar, gli occhi di nuovo pieni di lacrime.
L’operazione andò a meraviglia. L’avvocato aveva tenuto fede all’accordo, pagando fino all’ultimo centesimo perché i migliori medici del pianeta sistemassero a dovere il cuore di Luca. Il ragazzo si ristabilì completamente nel giro di poche settimane, pronto a ricominciare una nuova vita, meno accidentata della prima. Durante la lunga convalescenza trascorsa nell’ospedale di Houston, aveva provato più volte a contattare la sorella, ma senza successo. Quando finalmente si era deciso a telefonare al King’s Club per poco non si era fatto prendere un colpo, mandando all’aria dieci ore di intervento. Giorgia, infatti, per non aggravare il suo già precario stato di salute, aveva preferito tenerlo all’oscuro del diabolico patto che, suo malgrado, era stata costretta a stringere con l’avvocato per salvargli la vita. Francesco aveva cercato di usare il maggior tatto possibile ma, comunque la si presentasse, la situazione era tutt’altro che allegra.
Da quando l’autista dell’avvocato era venuta a prenderla per portarla, a bordo di una tetra Mercedes nera, alla casa dell’uomo, non solo Giorgia non era più tornata a casa, ma neppure aveva mai telefonato per dare notizie. Seguendo l’auto, Alberto era riuscito a scoprire in quale osceno antro si rintanasse quel porco dell’avvocato, raggiungendo un cupo villone nascosto nel cuore della valle Argentina, sopra Sanremo, tra l’indifferenza complice degli uliveti. Preoccupato come e più degli altri per il silenzio della ragazza, era tornato dieci giorni dopo, attaccandosi al citofono come una patella a uno scoglio. Nessuno si era degnato di rispondergli ma, quando aveva provato a scavalcare l’alto cancello che lo separava dal giardino e dall’ingresso della villa, subito una frotta di dobermann era accorsa per ricacciarlo indietro. Anche rivolgersi alla polizia era stato perfettamente inutile, l’avvocato era troppo immanicato perché qualcuno si prendesse il disturbo di indagare su di lui. Quanto accadeva al di là del cancello era un mistero per tutti.
Luca precipitò in Riviera col primo volo per Nizza, il cuore appena messo a posto già finito in gola. Giorgia era prigioniera dell’avvocato da quasi tre mesi e nessuno aveva la più pallida idea di come fare a liberarla. Il King’s sembrava diventato un rifugio per reduci del Vietnam. Quando il ragazzo arrivò trovò Francesco e Alberto che discutevano animatamente.
«Non avremmo mai dovuto lasciarla andare» aveva attaccato il biondo proprietario del locale, passando lo straccio sul bancone del bar.
«Ricordati che è colpa tua se lei si è cacciata in questo guaio» era stata la secca replica di Alberto, tra un sorso e l’altro di gin tonic.
«Colpa mia?!» Francesco l’aveva guardato come una pagina della Settimana Enigmistica.
«Sì, colpa tua» aveva ribadito l’altro, prima di spiegare: «Quel porco dell’avvocato non sapeva neanche chi fosse Giorgia, finché non è passato di qua e tu, quando stava per andare via, gli hai consigliato di fermarsi ancora una mezz’ora per aspettare che arrivasse lei e sentirla cantare.»
Luca vide Francesco diventare rosso come i Martini che serviva alla sera.
«Questo è un colpo basso» mormorò l’uomo dopo un po’ tenendo gli occhi fissi sul bancone. «Sai benissimo che lo faccio con tutti quelli che vengono a bere qua. In fondo anche per lei era pubblicità, metti che passasse di qua il talent scout di una casa discografica.»
«E invece è passato lui» continuò a infierire Alberto, prima che Luca si decidesse a intervenire: «Calmatevi, porca miseria! Litigando tra noi non risolveremo niente, dobbiamo ragionare e trovare il modo per entrare là dentro senza destare sospetti e poi squagliarcela con Giorgia. E non venitemi a parlare di penali da pagare. Preferisco che andiamo tutti in galera o a vivere sotto un ponte piuttosto che lasciare mia sorella nelle mani di quel bastardo. Con quello che ha fatto per me, glielo devo.»
«E allora» lo imbeccò Alberto, «che si fa?»
Il silenzio cadde sui tre come la bomba atomica su Hiroshima. Avrebbero dovuto e voluto parlare ancora, ma nessuno sapeva più cosa dire. E il tempo passava, sia fuori che dentro la casa dell’avvocato, al di là dell’invalicabile cancello, tra mura apparentemente impermeabili alla giustizia, anche a quella più spicciola e sommaria.
La nuova cameriera non solo era stonata come una campana, ma era pure quasi sempre malata. Rimasto di nuovo solo con il cuoco a fronteggiare l’alta, altissima marea di gente che, come ogni sabato, si abbatteva sul suo locale, Francesco subito pensò di non rispondere quando sentì squillare il cellulare. Si decise solo quando notò che sul display era comparso un numero che non conosceva.
«Pronto?» gridò per farsi sentire, mentre il dj Paolino faceva ballare la gente in pista con gli ultimi successi house del momento.
«Francesco!» bisbigliò Giorgia dall’altra parte, costringendo l’amico a abbandonare il cuoco al suo destino per correre fuori a parlare con lei, lontano dal rumore della folla e della musica.
«Giorgia, sei tu?»
«Sì, Francesco, sono io, Giorgia. Come sta Luca?»
«Bene, benissimo, l’operazione è andata a meraviglia. È tornato a casa qualche giorno fa, in piena forma. Ma tu, piuttosto, come stai? Non ti sei fatta più sentire!»
«Io… io non so se ce la farò» attaccò Giorgia sempre a bassa voce. «L’avvocato è ancora più pazzo di quello che credevamo. Ha la casa piena di ragazze che tratta come schiave. Chi non ubbidisce viene picchiata e drogata. Non possiamo telefonare o scrivere a nessuno e fuori ci sono sempre quei maledetti cani. L’ultima che ha provato a scappare è stata sbranata. L’unica cosa che mi hanno detto è che l’operazione era andata bene, ma potevano anche esserselo inventato per continuare a farmi fare quello che volevano loro. Adesso sono riuscita a chiamarti perché una delle sue guardie del corpo ha dimenticato il cellulare in cucina, mentre facevo le pulizie. Non oso pensare a che cosa succederà tra poco, quando se ne accorgerà. Francesco, mi dispiace, ma non credo che riuscirò a resistere qui dentro dieci anni. Abbraccia Luca da parte mia e digli che gli voglio un mare di bene.»
«Giorgia, non fare pazzie» l’apostrofò l’altro tentando di rimanere calmo. «Vedrai che troveremo il modo di tirarti fuori di lì. Cerca però di resistere ancora un…»
«No, ti prego» farfugliò Giorgia. «Non farlo, no… aaah!»
«Giorgia!» riuscì ancora a chiamare Francesco prima che la linea cadesse.
«L’hanno scoperta» pensò rientrando nel locale, pallido come un cencio.
Si trascinò fino alla consolle, prese il microfono solitamente riservato ai deliri vocali dello speaker e annunciò: «Signore e signori, sono spiacente di comunicarvi che questa sera siamo costretti a chiudere con un po’ di anticipo e cioè tra cinque minuti. A presto e buona notte!»
Respinto l’assalto dei curiosi, ansiosi di sapere perché il locale dovesse chiudere così presto, Francesco raggiunse Luca, Alberto e altri amici fidati per dire: «Restate, vi devo parlare.»
Attese che gli altri se ne andassero, poi spense l’insegna, chiuse a chiave la porta, guardò quelli che erano rimasti e annunciò: «E adesso nessuno esce di qua finché non troviamo il modo di salvare Giorgia!»
Per leggere la seconda parte di questo racconto scrivi a ovranilla @ gmail.com :)