Dentro l’ossario

Racconto horror pubblicato su La Riviera del 2 aprile 2004

È mezzanotte quando una nebbiolina azzurra si sprigiona da sotto la lastra di pietra che chiude il pozzo dell’ossario, in una sudicia casupola nell’angolo più trascurato del cimitero. Sono i proprietari delle ossa recuperate nell’ultima riesumazione, abbandonate in quel buco alla mercé dei curiosi e dei profanatori di salme. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei spettri prendono forma nella stanza.

Sparuti, ciondolanti, eterei, vestiti di stracci, le braccia e le gambe ridotte a pallidi grissini, le costole sporgenti, il teschio che campeggia sotto la pelle diafana del volto, ma gli occhi più vivi che mai, iniettati di quel sangue che dovrebbe aver smesso di circolare da un pezzo. Sono vecchi, molto vecchi, nessuno di loro è mancato nel fiore degli anni, per fortuna. O per sfortuna? È davvero valsa la pena stare al mondo per tutti quegli anni? Lavorare dal mattino alla sera per lasciare tutto ai figli, senza neanche avere il coraggio di spendere due soldi per comprare un buco in cui trascorrere tranquilli il resto dell’eternità?

La porta della casupola è chiusa da un pesante lucchetto, ma per gli spettri è uno scherzo passare attraverso il legno marcio dell’uscio. Scintillano come diamanti mentre fluttuano tra le lapidi, sotto la luna piena, verso il cancello del cimitero.

La villetta del sindaco non è lontana e l’oscurità della campagna li protegge da sguardi indiscreti. Ringhio, il feroce dobermann che fa la guardia alla casa, li osserva arrivare attonito, poi corre a nascondersi nella cuccia. In salotto, la moglie sta guardando The others alla tivù, ma alla vista dei fantasmi veri sviene subito.

Il marito è nello studio. Dovrebbe pensare a come risolvere i sempre più numerosi problemi della città. Invece legge i Racconti dell’oltretomba di Ambrose Bierce. L’apparizione degli spettri non lo sconvolge più di tanto. In quanto politico, è abituato a vederne (e a farne?) di tutti i colori.

Quello che lo turba è la richiesta di trovare una sistemazione onorevole ai loro poveri resti, in una bella tomba nuova, magari in una zona non troppo umida del cimitero, con qualche fiore qua e là.

«Vogliamo solo riposare in pace» dice alla fine il capo degli spettri.

Gli altri annuiscono convinti, ma il sindaco non ci sente.

«Mi dispiace, ma non posso aiutarvi» risponde risoluto. «Voi siete morti, non potete votare.»

«E allora?»

Il sindaco fa spallucce. «Beh, io come politico devo lavorare per guadagnare il consenso degli elettori, mica per fare un favore al primo spettro che passa. Avreste dovuto pensarci prima, quando eravate ancora vivi e potevate almeno offrire il vostro voto, piuttosto che una ricompensa.»

«La ricompensa l’avrai nel regno dei cieli» cita lo spettro con voce profonda. «Non hai letto il Vangelo?»

«Certo che l’ho letto! Ma io mica devo fare campagna elettorale nel regno dei cieli. Adesso andate, su. Mi avete già fatto perdere abbastanza tempo.»

Ma gli spettri non si muovono di un millimetro. «Avevamo previsto che non ci avresti aiutato» attacca il capo. «Hai ragione, per voi politici conta solo prendere dei voti. Ma forse il vicesindaco sarà più ragionevole quando ti troveranno sotto la lastra di pietra, sepolto vivo nell’ossario!»

«Ma se non siete che delle miserabili ombre!» sbotta il sindaco. «Dei vostri corpi non rimane che un polveroso mucchio d’ossa in fondo a un pozzo. Con quali braccia mi prenderete?»

Gli occhi degli spettri s’infiammano di un rossore infernale. «Non saranno le nostre braccia a prenderti» replica il capo, «ma la nostra rabbia!»

Come un sol uomo, gli spettri si scagliano sul sindaco. L’uomo è travolto. Gelide mani lo afferrano e lo trascinano fuori dalla casa, legato e imbavagliato, verso il cimitero.

L’ultima cosa che il sindaco vede prima che la lastra di pietra si chiuda per sempre su di lui, è lo sconfortante stato di degrado in cui riversa l’ossario.

Marco Vallarino