Racconto noir pubblicato in “Ombre” (Dominici, 1998) e “Città violenta” (Addictions, 2000)
Quei maledetti gufi erano dappertutto. Non sarei mai riuscito a entrare nella classifica di Zombies Attack! con quei bastardi in giro.
Appollaiati ai lati del cabinato, le dita adunche e la faccia da beccamorto, fingevano di seguire la partita con interesse. Invece usavano il loro diabolico influsso per spedirti dritto in game over. Mica per contratto con il gestore della sala giochi, figurarsi. Per loro portare sfiga era una missione, come per bin Laden annientare l’America. Ma quel maledetto record era questione di vita o di morte. Registrare un buon punteggio a Zombies Attack! era infatti l’unico modo per entrare nei Killer, la banda più temuta della città e più gettonata dalle ragazze. Erano i padroni della periferia, nessuno era in grado di fermarli. Pure la polizia aveva chiuso entrambi gli occhi sui loro affari, sicuramente più per paura che per pigrizia.
Nessuna ragazza avrebbe respinto un Killer
In sala giochi, non c’era ragazzo che non conoscesse la leggenda dei Killer. Le loro partite duravano un’eternità e c’era sempre un capannello di tifosi pronti a sostenerli e ad applaudirne le imprese. Ma i Killer non erano solo eccellenti videogiocatori. Nessuna ragazza avrebbe rifiutato la compagnia di uno di loro. Erano troppo importanti e, grazie allo spaccio dell’ecstasy, riuscivano anche a fare un mucchio di soldi. Inoltre, potevano averla gratis ogni volta che volevano.
Nelle ultime settimane, entrare nei Killer era diventata la mia unica ragione di vita. Il resto era un disastro. A scuola era sicuro che mi bocciavano un’altra volta. A casa i miei non perdevano occasione di farmi il culo. A calcio il mister mi teneva incatenato alla panchina, perché – diceva – la squadra andava già abbastanza male. Allo specchio avevo più brufoli del culo di una cicciona e con le ragazze non battevo chiodo da tempo immemorabile. Non erano disposte a perdere tempo con uno sfigato come me. Ormai avevo rinunciato a ogni tentativo di avvicinarne una, accontentandomi di spiarle da lontano. L’importante era entrare nella top ten di Zombies Attack! e dimostrare a Max che ero degno di far parte della sua banda.
Il capo dei Killer
Max era il capo dei Killer. Oltre ad avere realizzato il punteggio più alto di sempre a Zombies Attack!, vantava anche tutto ciò che un buon leader deve avere. Era veramente alto, forse più di un metro e novanta, con le spalle larghe e le braccia grandi. I capelli biondi tagliati cortissimi gli davano un aspetto da duro e gli occhi color del ghiaccio ti mettevano sempre in soggezione quando ti guardavano.
Qualcuno diceva che in una sola sera, durante uno di quegli after hours da sballo, dodici ore di magia musicale, Max si era calato più di dieci pastiglie. Io ero stato male quando mi ero azzardato a prenderne tre e non potevo non provare ammirazione per uno come Max. Non parlava molto e anche con le ragazze giocava a fare il misterioso. Quasi tutte si vantavano di essersi fatte sbattere da lui, orgogliose di essere state scelte anche solo per una notte, e sembravano più che convinte quando dicevano che il migliore era lui.
Pagavo le pastiglie con piacere, per finanziare l’attività dei Killer
Da quando andavo a ballare, Max mi aveva venduto più di una pastiglia e io avevo sempre pagato con piacere, per finanziare le invidiabili attività dei Killer.
Era vero, li invidiavo. Max e gli altri. Nino, che un giorno era arrivato vicinissimo a battere il record del suo valoroso capitano, prima che Max infiammasse la Dreamland con un’altra magia, raggiungendo un punteggio inarrivabile. Poi c’era Alex, che usciva con una di quelle ragazze da paginone centrale di Playboy, la quale, succube del suo charme di killer, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lui (e la faceva). E che dire di Lucas, se non che aveva mandato all’ospedale tutti quelli che si erano permessi di guardarlo un po’ troppo male.
Rispetto. Questo era quello che avevano i Killer e che io non riuscivo a farmi portare dagli altri. Tutti mi ridevano dietro e non perdevano occasione per schernirmi e farmi sentire peggiore di quanto ero in realtà. Forse.
Ma io giocavo a Zombies Attack! e sapevo che un giorno tutto sarebbe cambiato. Bastava raggiungere l’ottavo livello del gioco per entrare in classifica. Non sembrava impossibile, però il settimo livello era davvero difficile.
Zombies Attack!
Lo scopo di Zombies Attack! consisteva nello sterminare le fameliche orde di morti viventi che affollavano lo schermo dando la caccia ai pochi sopravvissuti all’olocausto e finendo di distruggere il mondo. Il riferimento ai film di Romero era evidente, l’idea era banale ma passava in secondo piano quando iniziavi a giocare.
L’adrenalina scorreva a fiumi mentre la pistola a raggi infrarossi faceva strage di mostri. Ma la scena sembrava così vera che mi agitavo sempre e, quando iniziava a tremarmi la mano, ero spacciato. Sbagliavo un colpo dopo l’altro e gli zombi mi massacravano. Mi ero sempre vantato di avere uno stomaco al titanio, ma non mi piaceva per niente vedere lo schermo sommerso da un lago di sangue. Forse non ero troppo contento di assistere al mio ennesimo fallimento.
Per fare una partita ci volevano ben due gettoni e io avevo rinunciato a più di una canna per trovare i soldi necessari per allenarmi. I miei progressi non erano rapidissimi ma ero convinto che prima o poi ce l’avrei fatta. Gufi permettendo.
Secondo la legge di Max, il Killer che viene sbattuto fuori dalla classifica del gioco da un punteggio più alto del suo, ha tre giorni di tempo per recuperare il posto. Poi torna a essere lo sfigato di prima, che non piace a nessuno e deve pagarsi ogni maledetta pastiglia che cala.
In quel periodo, il decimo e ultimo posto apparteneva a Robert, che quindi era messo piuttosto male. Ma, anche se era solo decimo, era un Killer e andava rispettato.
Faceva caldo, ma la giacca di pelle mi dava un’aria da duro
Quel giorno arrivai poco dopo le quattro. Faceva abbastanza caldo, ma decisi lo stesso di tenermi addosso la giaccia di pelle. Mi dava un’aria da duro. Da Killer.
Fingendo un atteggiamento annoiato, quello tipico dei Killer, mi avvicinai alla scalcinata gettoniera della sala giochi e, dopo aver cambiato i soliti cinque euro, mi accinsi a dare inizio all’ennesima caccia al tesoro. Il gestore mi riconobbe salutandomi con un cenno del capo, senza entusiasmo. Forse aveva trattenuto a stento un sorriso quando mi aveva visto entrare. Rideva sotto i baffi che non aveva mai avuto della mia sfiga. Si prendeva gioco di me.
Rispetto.
Smisi di tormentarmi e mi concentrai su ciò che dovevo fare. Non c’erano gufi in giro ma Zombies Attack! era occupato. Robert lottava per risalire la china.
Aspettando il mio turno guardai la partita, nella speranza di imparare qualche nuovo trucco e che finisse presto. Era un pezzo che Robert non migliorava il suo record. Correva un grosso rischio e doveva fare qualcosa se non voleva perdere il suo prestigio. Anche lui aveva dei problemi col luna park, ma forse il fatto di averlo superato almeno una volta, anche se con un punteggio bassissimo, gli dava fiducia. Conoscevo Robert da un sacco di tempo, avevamo fatto le medie assieme, ma da quando era diventato un killer evitava di salutarmi. Forse non voleva compromettersi. Ma sapeva che non ero un gufo e mi lasciò guardare la partita senza cercare di mandarmi via.
Lei era troppo presa dal Killer per accorgersi di me
Era già a buon punto, verso la fine del quarto livello, il centro commerciale devastato, quando una ragazza si avvicinò al cassone. Le feci una accurata radiografia ma lei era troppo presa da Robert per accorgersi di me. I jeans neri e larghi tentavano di nascondere un culo troppo grosso, mentre la maglietta azzurra era abbastanza aderente da mettere in risalto un bell’airbag. I soliti capelli neri, lunghi ma non troppo, gli occhi spenti di colore scuro, il corpo fatto a sacco. In giro se ne vedevano parecchie di ragazze così, una buzzicona come tante e magari pure sporca. Ma per me sarebbe andata più che bene.
Smisi di guardarla per non crearmi false illusioni e riportai la mia attenzione su quello che combinava Robert. Aveva da poco iniziato il quinto livello, quando la ragazza esordì: “Killer?”
Forse aveva visto il sottile anello nero che circondava il pollice di Robert, il simbolo dei Killer, o forse lo conosceva già. A Robert sfuggì un sorriso, per un attimo perse la concentrazione e uno zombi gli morse un braccio, facendogli perdere una quantità di energia. Ma il Killer non si scompose e addirittura si degnò di rispondere alla tipa: “Puoi dirlo forte!”
Fuga d’amore
La ragazza non perse tempo: “Ehi, perché non stacchi un attimo e non andiamo a farci un giro? Mi piacerebbe conoscerti, sembri uno sveglio. Magari mi porti a bere qualcosa nel tuo bar preferito.”
Robert non sembrava molto convinto. Dopo averle gettato un’occhiata distratta, rispose: “No, non ho proprio voglia di perdere tempo con te.”
La pistola continuava a fare strage di zombi, mentre la ragazza macerava. Poi sentii Robert che diceva: “Al massimo puoi farmi un pompino.”
Detto fatto. Mentre io non riuscivo a credere che Robert avesse potuto dirlo, la ragazza accettava con entusiasmo la proposta, precedendolo nei maleodoranti bagni della sala giochi, dove si sarebbe consumato il fattaccio.
Gli zombi ne approfittarono per farlo a pezzi. Anche stavolta ROB non era riuscito a migliorarsi. Zombies Attack! ricominciò a far girare il demo e io non persi tempo. Buttai il gettone nella slot del coin-op, inserii il mio nome (MAR, l’abbreviazione di MARCO, molto simile a MAX) e iniziai a giocare.
Superai i primi sei livelli di slancio, poi la mano iniziò a tremarmi e qualche colpo della pistola andò a vuoto. Cominciai a perdere energia, mentre gli zombi si moltiplicavano più velocemente dei pani e dei pesci del famoso miracolo. Poi mi accorsi che qualcuno si era avvicinato al cassone con l’intenzione di seguire la partita. Ovviamente non era una ragazza.
Il gufo in azione
Un gufo? Sì, era proprio un gufo. La puzza di ascelle era inconfondibile. Ormai si trovava anche troppo vicino, potevo vederlo chiaramente con la coda dell’occhio. Un ciccione schifoso dai capelli unti e bisunti, con una colonia di forfora che avrebbe indotto un barbiere al suicidio, e un paio di fondi di bottiglia davanti agli occhi. Cercai di concentrarmi sul gioco, ma gli zombi mi avevano inflitto altre numerose ferite. Tuttavia la fortuna decise di darmi di mano e, con una serie di colpi miracolosi, riuscii a raddrizzare la situazione.
Ero quasi arrivato alla fine del livello. Potevo farcela. Poi il gufo iniziò l’opera di distruzione. Lo sentii frugare a lungo in una delle tasche senza fondo del montgomery sgualcito. Feci saltare il cervello a un’altra di quelle infami teste bianche, poi mi girai un attimo a guardarlo. Nelle sue mani era comparsa una caramella. La scartò facendo un rumore d’inferno, ma il peggio arrivò quando se la cacciò in bocca, iniziando a sbatterla fra i denti e alitandomi sul collo il suo fetore.
Non lo sopportavo. Era troppo sfigato per vivere sul mio stesso pianeta. Più che agli zombi, avrei voluto sparare a lui. Mi girai per dirgli di togliersi dai piedi, di portare sfiga da un’altra parte, ma il gufo mi anticipò dicendomi di stare attento. Gli zombi mi avevano messo sotto e ormai non avevo quasi più energia.
“Sei morto!” sibilò il gufo appagato. Lo schermo era pieno di zombi, il luna park sembrava una spiaggia di Riccione a Ferragosto. Ma, chissà come, resistevo. Uccisi gli ultimi cinque zombi come in trance e lanciai un urlo di gioia quando lessi sullo schermo: Well done, MAR! Prepare to meet your doom at level 8.
Uno stadio di calcio dall’aria poco sportiva
Il gufo ammutolì. Il bonus per il passaggio di livello mi diede quello che mi mancava per entrare in classifica (e diventare un killer!). Raggiante, mi buttai a capofitto nel livello otto, uno stadio di calcio dall’aria per niente sportiva. Poi accadde qualcosa che forse era inevitabile. Lo schermo diventò nero e l’intera sala giochi piombò nell’oscurità. Black out.
La partita era finita, ma la mia mano sudata stringeva ancora la pistola. Quando la luce tornò, mi decisi a posarla. Il gufo era ancora lì, mentre Zombies Attack! caricava la schermata introduttiva. La classifica arrivò subito dopo. Il mio nome non c’era.
Il gufo ridacchiò. “Che sfiga, non è rimasto niente.”
Non disse altro perché il mio diretto gli tappò la bocca. Crollò a terra come un sacco di patate marce sanguinando copiosamente dal naso. Troppo poco per la mia delusione. Lo massacrai di botte fino all’arrivo della polizia.
Per togliermi di mezzo dovettero afferrarmi in quattro. Non ne volevo sapere di stare fermo e continuavo a colpire tutto quello che mi capitava a tiro. Ricordo che ne stesi due o tre prima che riuscissero a bloccarmi. Mentre mi portavano fuori, Max faceva il suo ingresso nella sala giochi. Mi guardò con aria divertita e il suo sorriso di scherno fu la cosa che mi fece più male di tutte.
La clinica psichiatrica
Quindici giorni dopo, i medici mi hanno costretto a entrare in una clinica psichiatrica. Continuavano a insistere che avevo dei problemi, e mia madre si è lasciata convincere. Ha detto che lo faceva per il mio bene.
Sono qui già da parecchie settimane e nessuno è ancora venuto a trovarmi. Mi annoio parecchio ma, almeno per il momento, non c’è nessuno che mi ride dietro. Ogni tanto scrivo, tengo una specie di diario.
Oggi sono molto contento perché al mio risveglio ho trovato una piacevolissima sorpresa. Nella piccola sala giochi del bar della clinica hanno messo un coin-op di Zombies Attack!.
Potrò continuare ad allenarmi.
Marco Vallarino