Racconto fantastico pubblicato sul numero 2/2001 della rivista Futuro News (Fanucci, 2001)
Era in coda da tre giorni. Davanti a lui, un’infinità di persone indistinguibili: aspettavano come lui da chissà quanto di arrivare nei pressi dello sportello. Dietro, lo stesso. Non si ricordava come ci era finito, in quella coda, ma da quando era lì non aveva mai avuto né fame né sete, e tanto meno si era sentito stanco. Aveva provato a parlare con qualcuno, ma nessuno si era preso il disturbo di rispondergli e dopo un po’ aveva deciso che sarebbe stato meglio lasciar perdere, limitandosi ad aspettare che accadesse qualcosa.
Sapeva che erano passati tre giorni perché, nella gigantesca sala d’aspetto stracolma di gente, c’era un calendario a strappo e un nano dai capelli brizzolati armato di scaletta era già venuto tre volte a strappare il giorno che se ne andava. Non c’era notte, sempre la stessa luce bianca che scendeva implacabile dal soffitto e PinaZ, così si chiamava, aveva smesso di guardare l’orologio da un pezzo.
Passò un altro giorno e arrivò il 10 di settembre, il suo compleanno, e PinaZ si arrabbiò perché nessuno gli dava retta e non poteva festeggiare i suoi trentotto anni nuovi di zecca. Cercò di parlare con qualcuno, prima con quelli davanti e poi con quelli dietro, ma nessuno gli rispose e un’altra settimana passò senza che nulla accadesse.
Era il 17 di settembre. Venerdì 17. PinaZ era sempre in coda ma adesso riusciva a vedere chiaramente lo sportello e davanti a lui non rimanevano che poche persone. Una volta che anche queste ebbero sbrigato i propri affari, giunse finalmente il suo turno.
Dietro di lui la coda era lunghissima. Come sempre.
Dall’altra parte dello sportello stava un omino tutto vestito di nero con un paio di grosse orecchie a sventola.
“Oh PinaZ, buongiorno!” esclamò quando lo vide.
“Come fa a sapere il mio nome?” fece PinaZ di rimando, un po’ turbato da quel saluto.
“Ma noi sappiamo sempre tutto, no?”
“Può darsi” concesse PinaZ continuando a non capire. “Ma perché sono qui?”
“Lei è qui per la tessera, no?”
“Tessera? Che tessera?”
“La tessera per il Paradiso, no?”
“Per il paradiso?!”
“Sì, per il Paradiso. No?”
“E perché mai dovrei prendere una tessera per il paradiso?”
“Per andarci, no?”
“Ma come per andarci?! Ammesso e non concesso che il paradiso esista veramente, perché dovrei prendere una tessera per andarci?”
“Beh, perché è morto, no?”
“Morto?! Ma come faccio a essere morto se sono qui a parlare con lei! Adesso basta, per piacere, mi sono stufato di questa stupida messinscena. Mi dica chi è lei e che cosa ci faccio io qui.”
“Beh, io sono un angelo, no? E devo darle la tessera per il Paradiso, no?”
“Ma gli angeli non dovrebbero avere le ali ed essere arancioni, azzurri e bianchi?”
“Oh, ma lei pensa ancora alle ali e a quei colori assurdi? Le mode cambiano, no?”
“Okay, ma io ho da poco compiuto trentotto anni, non posso essere già morto.”
“Ma lei non ha mai compiuto trentotto anni. È morto prima. Sotto il camion, no?”
“Che camion?”
“Una luce abbagliante e un rumore assordante, no?”
“Sì, adesso che ci penso mi sembra di ricordare qualcosa del genere. E allora?”
“Beh, la luce abbagliante e il rumore assordante sono i fari e il clacson del camion che l’ha investita. È morto sul colpo. Può darsi che sia per questo che non si ricorda bene, no?”
“Già.”
“Oggi è venerdì 17, no?”
“Sì.”
“Beh, la morte è come un venerdì 17 in cui si resta a casa a dormire. Divertente, no?”
“Mica tanto.”
“Comunque non si preoccupi. In Paradiso avrà modo di rifarsi, no?”
“Ma allora Dio esiste!”
“Ovviamente! E non si possono certo avere dei dubbi in proposito, no?”
“Oh cazzo.”
“Come? Stava parlando con me, no?”
“Niente. Non avrei mai potuto immaginare una cosa del genere. Io non ho mai creduto in Dio. Quasi quasi mi dispiace.”
“Ah! E non si vergogna? Comunque adesso si va in Paradiso, no?”
“Eh?”
“Insomma, lei la vuole o non la vuole questa tessera per il Paradiso?”
“No!”
“Ok.”
Fu a quel punto che una botola si spalancò sotto i suoi piedi e PinaZ precipitò urlando verso l’Inferno.