Racconto umoristico pubblicato sul quotidiano Il Secolo XIX del 24 dicembre 2003
Il giorno dello sciopero del personale dell’Alitalia, l’aeroporto di Roma Fiumicino sembra Waterloo dopo la sconfitta di Napoleone. Uomini, donne, vecchi e bambini di ogni ceto, razza, e segno zodiacale, collassati a decine sui divanetti, spalmati per terra dalla stanchezza, o in coda all’ufficio informazioni, con la speranza sempre più vaga di uscire a riveder le stelle e un aereo pronto al decollo. L’unica cosa da fare sembra sia prendere quello che c’è, tentando di arrivare a destinazione per vie alternative.
Lucio, manager irreprensibile, deve assolutamente essere a Marsiglia in serata per concludere il più grande affare della sua vita, un fritto misto globale che comprende: compravendita di mine antiuomo, spaccio di droghe leggere e pesanti, traffico di organi e tratta delle bianche. Quando sente parlare di un dornier da trentacinque posti in partenza per Genova, tira fuori tutto quello che ha per corrompere la bionda della biglietteria e assicurarsi un posto a bordo.
L’interno dell’apparecchio gli ricorda la gita scolastica alle grotte di Toirano. Il soffitto basso, la moquette sfilacciata, i sedili ricoperti di graffiti, l’odore di chiuso e la penombra che avvolge tutto non sono certo un buon inizio. Il decollo è un susseguirsi di Padre Nostri e Ave Marie, con santini di Padre Pio che spuntano un po’ dappertutto, insieme a copie di Una storia italiana. Per distrarsi Lucio prova a guardare il panorama. Ma sotto la tendina trova scritto: “Che bello scrivere sul finestrino, così nessuno vede più una cippa.” Dietro di lui, due cinesi tossiscono convulsamente. Lucio sarebbe più tranquillo, se sapesse che hanno preso freddo dormendo in tenda tra i colli di Roma.
“Chette porto, bello?” chiede Floriana, una delle poche hostess sopravvissute all’epidemia di indisposizioni. “Un’aranciata, grazie.” La ragazza torna con un bicchiere di plastica visibilmente macchiato di rossetto. Disgustato, Lucio chiede spiegazioni. “Bello, abbiamo sete anche noi, sai? e poi, vuoi che ti diamo l’aranciata scaduta senza assaggiarla prima?”
Seduto poco lontano, Mohamed si guarda intorno sconsolato. Fondamentalista islamico e aspirante terrorista, ha deciso di dirottare un aereo per guadagnarsi il paradiso dei guerrieri. Ma, con lo sciopero di mezzo, non ha trovato di meglio e adesso non sa più che pesci pigliare. Si vergogna a dirottare ‘sta carretta, con la pistola ad acqua comprata in edicola e il cacciavite di plastica del meccano dei bambini. Bisognerà aspettare tempi migliori. Sempre che sopravviva alle turbolenze.
Un vento fortissimo sbatacchia il dornier come lo sparring partner del campione mondiale di judo. Avvinghiato al sedile, Lucio si sente peggio che a Mirabilandia, sulle montagne russe più alte d’Europa. È l’ira di Allah. Non vuole che mi tiri indietro, pensa Mohamed alzandosi. Punta la pistola alla tempia della prima hostess che passa e esclama: “Fermi tutti, questo aereo è dirottato! adesso si va dove dico io. A Venezia!”
“Perché proprio a Venezia?” chiede la hostess.
“Non ci sono mai stato” risponde Mohamed.
“Col cavolo che si va a Venezia” replica Lucio stizzito, estraendo da sotto la giacca un fucile a canne mozze, sfuggito come sempre al metal detector. “Si va a Marsiglia e io sarò il primo ostaggio a essere liberato. Giusto?”
“Giustissimo!” risponde Mohamed, contento che il suo dirottamento diventi un affare internazionale.
Quando il dornier atterra sulla pista, l’aeroporto di Marsiglia è impestato di polizia peggio che Genova durante il G8. Mohamed gongola. Lucio scende dall’aereo e sorride beato, pensando che il più è fatto. Anche la polizia. I suoi complici sono già tutti al fresco, traditi dal solito infiltrato. Mancava solo lui, ma con l’identikit fornito dall’agente è impossibile non riconoscerlo. Lucio allunga i polsi per le manette e maledice gli scioperi. Con tutti gli anni di galera che si farà, le orecchie di hostess e steward fischieranno a lungo.
Marco Vallarino