Occhio per occhio

Racconto noir ispirato al Codice Da Vinci di Dan Brown scritto per Noir Magazine n. 4 del giugno 2006

Il curatore del Louvre era sulla buona strada per diventare un fantasma. Il contenuto della lettera trovata nel pacchetto recapitato al museo pochi giorni prima non lasciava dubbi sulle intenzioni che il mittente aveva nei suoi confronti. Il professor Antoine Moreau non aveva dunque perso tempo a ricorrere alla protezione dell’organizzazione di cui faceva parte piuttosto che a quella della polizia.

Robert Sinclair

«Prega, uomo malvagio, perché la tua ora sta per scoccare. Alla fonte di ogni emozione e di qualche miracolo troverai l’amaro calice destinato alle tue empie labbra» lesse a voce alta l’agente Robert Sinclair, appena giunto nello sfarzoso studio del curatore, al primo piano del museo.

«Mi vogliono uccidere» si lamentò per l’ennesima volta Moreau, la faccia tra le mani, quasi in lacrime. Sprofondato nella poltrona, pareva un malato sul letto di morte. «Ma perché? Io non ho mai fatto del male a nessuno, non ho nemici e non penso neanche di essere una persona così invidiata. In fondo la mia posizione non mi dà alcun privilegio particolare ed è solo frutto di anni di duro lavoro. Maledizione, neppure da vecchi si può stare tranquilli.»

«Professore, si calmi» l’apostrofò Sinclair posando la lettera sulla scrivania e raccogliendo il pacchetto, il cui interno celava un piccolo rosario. «Le assicuro che non permetterò a nessuno di torcerle un capello. Tuttavia, perché il mio lavoro sia efficace dobbiamo capire chi si sta muovendo contro di lei e perché. Ma non si preoccupi, sono certo che mi basterà fare qualche indagine per sistemare tutto.»

Moreau sgranò gli occhi invece del rosario. «Cosa?» si stupì. «Di quali indagini sta parlando? Intende forse lasciarmi solo, senza alcuna protezione?»

«Solo per poco tempo» assicurò Sinclair infilando il rosario nella tasca della giacca di pelle e avviandosi alla porta. «Al museo è al sicuro. Nessuno sarebbe così stupido da colpirla qua, con tutte le telecamere che ci sono. Anzi, non si muova finché non torno.»

Uscì a passo svelto, senza dare altre spiegazioni. Tra le righe della lettera gli pareva di intravedere una prima possibile pista da seguire.

Sinclair recuperò la macchina parcheggiata davanti alla piramide del Louvre e si immerse nel traffico del centro, gettando occhiate sporadiche alla punta della Tour Eiffel che spuntava tra i palazzi. A Parigi la fonte di ogni emozione e – soprattutto – di qualche miracolo non poteva che essere il Sacro Cuore di Gesù, la basilica in cima alla collina di Montmartre. Sotto il caldo sole primaverile, i giardini pullulavano di gente accampata sull’erba e che andava e veniva dalla chiesa, lungo le scalinate. Il quartiere famoso in tutto il mondo per la costante presenza di pittori intenti a ritrarre le meraviglie locali costrinse l’agente a una estenuante ricerca prima di trovare quanto cercava. Con un sorriso indecifrabile si avvicinò all’uomo che, pennello in mano e macchie di pittura dappertutto, dipingeva qualcosa di parecchio diverso dai tre cupoloni bianchi del Sacré-Coeur.

«Che cos’è?» chiese a bruciapelo, indicando il colonnato grigio sulla tela.

«Saint-Sulpice» confessò l’altro girandosi appena a guardarlo.

«Come mai non dipingi il Sacro Cuore?» rilanciò Sinclair sempre col sorriso sulle labbra.

«Perché sono un tipo originale» spiegò l’uomo riprendendo a dipingere.

«E poi?» insisté l’agente mettendogli sotto il naso il rosario.

Finalmente il pittore lo degnò della sua attenzione. Posò pennello e tavolozza sul banchetto accanto alla tela e ammise: «È quasi una settimana che aspetto di vedere questo rosario. Credevo però che mi sarei trovato davanti qualcuno di molto più vecchio.»

«Oh, non ti preoccupare per questo» intervenne Sinclair. «Ti assicuro che il messaggio arriverà a chi deve arrivare.»

«Bene, in effetti aspettavo con ansia che venisse qualcuno. Chi mi ha chiesto di dipingere Saint-Sulpice davanti al Sacro Cuore mi ha dato un sacco di sodi e me ne ha promesso molti altri per quando avrò finito, ma è piuttosto faticoso riprodurre un soggetto basandosi solo sulle foto di un libro.» Indicò il volume che era posato sul banchetto, poi tirò fuori una busta dalla tasca della giacca e continuò: «Questa è per te allora.»

Sinclair afferrò la busta e chiese: «Che aspetto aveva chi ti ha pagato?»

«Era un tipo alto, piuttosto robusto, con i capelli corti e biondi, la barba e gli occhi scuri» rispose l’altro senza fare una piega.

«Com’era vestito? Pensi che potesse essere francese?»

«Beh, sì, francese lo era senz’altro, perché parlava davvero bene» assicurò il pittore. «Poi era vestito in maniera piuttosto semplice, con un maglione nero e dei pantaloni di velluto antracite.»

«Non aveva qualche segno particolare? Tatuaggi, cicatrici, nei.»

«Non mi pare, no.»

Poteva essere chiunque, nel database dell’organizzazione avrebbe trovato centinaia di descrizioni simili. Lo stesso pittore poteva essere un membro del gruppo. Sinclair ringraziò e lasciò una mancia di dieci euro, rimediando una smorfia schifata. Tornato alla macchina, aprì la busta traendone una pastiglietta bianca, probabilmente di cianuro, e un biglietto con su scritto: «RRAS3CDH196».

L’agente imprecò. Si sentiva come un esperto d’arte intento a svelare il mistero del sorriso della Monna Lisa. Quella serie di lettere e numeri poteva riferirsi a qualunque cosa.

Tornò al Louvre di malumore, ma con la certezza di trovare il professore ancora integro al suo posto. Nell’ingresso sotterraneo, al cospetto della piramide rovesciata, raccolse una mappa del museo per ritrovare lo studio del curatore. Bastò un rapido sguardo per capire tutto.

La prima R stava per Richelieu, l’ala sinistra del Louvre. La seconda era per Rez-de-chaussée, ovvero il piano terra. La A indicava la sezione, cioè Antichità orientali. S3 voleva dire Sala 3. Sinclair si precipitò in quella direzione, certo che laggiù avrebbe potuto decifrare anche l’ultima parte del messaggio. Quando vide che cosa lo aspettava impallidì.

«Finalmente!» sbottò Moreau quando lo vide rientrare.

«Nel senso che finalmente si è deciso a dirmi la verità?» esordì Sinclair avvicinandosi alla scrivania.

Il curatore arrossì. «La verità? Qu-quale verità?» balbettò incerto.

«Lei sa benissimo perché qualcuno vuole ucciderla» annunciò l’agente, asciutto. «Forse se lo sapessi anch’io potrei esserle di maggiore aiuto. O forse no, dipende da quello che ha combinato. Certo è che con il Codice di Hammurabi non si scherza.»

«Cosa c’entra il Codice di Hammurabi?»

«C’entra, eccome!» esclamò Sinclair, prima di spiegare come fosse arrivato nella sala del Louvre che ospitava la più antica raccolta di leggi conosciute nella storia dell’umanità, quella che al capo 196 recitava: «Qualora un uomo cavi un occhio a un altro, gli sia cavato un occhio.»

«Allora, chi ha ammazzato?» insisté Sinclair sedendosi. «E si ricordi che mentire a me è come mentire all’organizzazione.»

Tirò fuori la pistola e aspettò.

Moreau sospirò. Se avesse schiacciato l’allarme celato sotto la scrivania, la sicurezza sarebbe arrivata in un secondo. Ma poi l’organizzazione l’avrebbe sistemato per le feste. «E va bene, lo ammetto» disse alla fine. «Ho ucciso una persona, ma l’ho fatto proprio per il bene dell’organizzazione.»

«Questo lo deciderà qualcun altro» sentenziò l’agente. «Intanto mi dica chi ha ammazzato.»

«Jacques Viach, l’ultimo custode dei catari» annunciò il curatore quasi con fierezza.

Le pupille di Sinclair si dilatarono per la sorpresa, assottigliando le iridi azzurre. «Che cosa? avete ucciso uno dei catari?»

«Il custode» ripeté il curatore. «Era venuto da me per chiedermi di stabilire un contatto con il gran maestro dei templari, che come me fa parte del consiglio dei savi di Sion. Le risorse del suo gruppo erano ormai ridotte al lumicino e voleva proporre un’alleanza, in fondo anche i catari come i templari sono stati perseguitati dalla chiesa.»

«E perché l’ha ammazzato?»

«Beh, innanzi tutto ero convinto che l’intesa tra catari e templari avrebbe indebolito la nostra organizzazione. Poi volevo mettere le mani su quello che Viach era disposto a offrire al gran maestro in segno di buona volontà.»

«E cioè?»

Moreau tirò fuori da un cassetto della scrivania uno scrigno di legno finemente intarsiato. «Ecco, guardi lei stesso» comunicò consegnandogli l’oggetto.

Sempre con l’arma in pugno, Sinclair sollevò il coperchio e si trovò davanti ad alcuni rotori di papiro. Non li toccò neppure, limitandosi a chiedere: «Di che si tratta?»

«È il diario personale di Maria Maddalena, quello vero» assicurò il curatore con un sorriso. «Racconta della sua vita in Gallia, con Giuseppe D’Arimatea e la piccola Sarah, la figlia di Gesù. Si tratta di un documento potentissimo, che ci potrà permettere di tenere in pugno ogni organizzazione vicina alla Chiesa.»

«Puttanate!» replicò Sinclair. «Un reperto del genere non sarà mai attendibile. Potrebbe averlo scritto chiunque, anche duemila anni fa. E comunque lei certamente sa bene che l’organizzazione non ha interesse a inserirsi in dispute di carattere politico e religioso. Mi pare chiaro quindi che lei volesse tenere questi rotoli per sé, magari per rivenderli al miglior offerente.»

«Ma…»

«Niente ma, Moreau» lo interruppe Sinclair alzandosi di scatto. «Non solo hai sfruttato la tua appartenenza all’organizzazione per scopi personali, ma hai anche commesso un delitto orrendo, uccidendo una persona che aveva chiesto il tuo aiuto. Per un simile crimine esiste solo una punizione. Antoine Moreau, col potere concessomi dall’Unione della Forze Onnipotenti, io ti condanno a morte.» Puntò la pistola preparandosi a sparare.

«Non può farlo, sono il dieci di quadri.»

«Certo che posso, io sono il fante di picche.»

Il professore bestemmiò prima che il proiettile lo centrasse in mezzo agli occhi. Robert Sinclair lo lasciò riverso sulla scrivania, dopo aver recuperato i rotoli di papiro. Uscito dal museo si fermò a guardare la gigantesca piramide di vetro fatta costruire da Mitterrand, presidente e aspirante faraone. Quattromila anni dopo l’ultima volta, quella suggestiva e immensa costruzione a punta era tornata a indicare la X sulla mappa della morte.

Marco Vallarino

Le avventure dell’agente speciale Robert Sinclair continuano nel racconto La rivincita, uscito su Noir Magazine n. 5.