Reality shock

Racconto horror pubblicato nella antologia “Grande Macello” (Stampa Alternativa, 2001) e sulla rivista Mystero (Profondo Rosso, 2002)

La prima l’ha sciolta viva nell’acido.

La seconda l’ha gonfiata di elio fino a farla esplodere.

La terza, semplicemente, l’ha freddata con un colpo alla nuca dopo averla fatta inginocchiare davanti alla telecamera.

Grande Macello

Le altre tre hanno visto tutto e sanno che soltanto una di loro si salverà, perché è così che lui vuole. Gli sono bastate un paio di notti su e giù per la statale per prenderle tutte, solo che anziché portarle a casa e sbattersele alla bell’e meglio, le ha narcotizzate col solito fazzoletto impregnato di cloroformio e le ha rinchiuse in questa cella di tre metri per quattro. Grazie a un impianto di telecamere e microfoni a circuito chiuso, ha potuto parlare con loro dalla sua camera, spiegando che cinque di loro sarebbero state eliminate nei modi più atroci che fosse riuscito a immaginare, mentre la sesta sarebbe stata libera di tornare al suo lampione. Questo per dar loro una speranza e rendere tutto più eccitante, anche se le ragazze più che eccitate sono terrorizzate, soprattutto dopo aver visto le prime esecuzioni.

Quando decide che è arrivato il momento, Rama – così ha detto di chiamarsi, il loro misterioso antagonista – prima le addormenta introducendo del gas soporifero nella stanza, poi entra a prendere la vittima designata. Le ragazze non sanno da che cosa dipenda la sua scelta e questo le rende ancora più sgomente.

Una bionda, una bruna, una rossa. I primi giorni parlavano tra loro quasi tutto il tempo, nel maldestro tentativo di distrarsi, poi la sete le ha messe a tacere. Dormono a turno per essere sempre pronte a tutto, e più che pregare bestemmiano. Mangiano insieme le focacce rinsecchite che ogni tanto Rama si degna di portare, e bevono dal lavandino, nei rari momenti della giornata in cui arriva un po’ d’acqua, quasi sempre di notte, svegliando chi dorme e aumentando non poco il senso di frustrazione. Se almeno sapessero come ragiona Rama, potrebbero cercare di far cadere la sua prossima scelta su una ragazza piuttosto che su un’altra, ma così possono solo sperare di risvegliarsi ancora incatenate al muro della cella, dopo che il gas avrà fatto il suo lavoro.

Riescono a distinguere il giorno dalla notte soltanto grazie alla luce che si spegne e si riaccende a intervalli di tempo indefinibili, ma forse è solo l’ennesimo capriccio di Rama. Hanno ancora i vestiti con cui sono arrivate, più di una settimana fa ormai – se hanno fatto bene i loro conti. Non hanno niente con cui lavarsi e se anche avessero una saponetta probabilmente se la mangerebbero. Il water è sempre più maleodorante e sembra che non ci sia modo di tirare l’acqua.

Debora, la bruna, non riesce più a mangiare dalla puzza che c’è. Ha una brutta cera e non solo per via del pallore diafano che la fa sembrare un fantasma. Passa il tempo a guardarsi i piedi e a riempirsi la bocca di saliva, tanto per inghiottire qualcosa. A volte le altre la sentono dire “mamma”, ma senza convinzione.

Katia, la bionda, ha le mutandine zuppe di sangue e la pelle nera della minigonna tutta strappata: ha provato a mangiarla ma non ci è riuscita. Forse non ha ancora abbastanza fame.

Silvia, la rossa, si morde i polpastrelli in continuazione, forte, fino a farli sanguinare. Il dolore la aiuta a distrarsi e il sangue è sempre qualcosa che si può bere. Per farsi coraggio, pensa e ripensa a tutto quello che farà quando sarà fuori di qui, libera di vivere, non di morire. Rama però potrebbe non essere d’accordo.

Il sibilo e l’odore che si spargono rapidi nell’aria sono fin troppo eloquenti. C’è da stupirsi che il cuore regga, a un simile abissale terrore.

“Non voglio morire!” grida Katia sconvolta, e Debora e Silvia le fanno eco.

Mentre il gas le intontisce sempre più, le ragazze si stringono l’una all’altra, quasi a voler organizzare, seppure inutilmente, un’ultima, strenua difesa.

“Buongiorno!”

Con orrore Silvia si accorge di essersi svegliata nel posto sbagliato. Rama è davanti a lei: un uomo come tanti, non troppo alto ma con un fisico ben sviluppato. Calvo e perfettamente rasato, mette in mostra due occhi di un azzurro slavato spalancati su quell’abisso di follia che con tutta probabilità le costerà la vita. Silvia lo guarda e vorrebbe non averlo mai visto.

“Allora?” la incalza l’uomo. “Sei pronta a essere eliminata?”

“No” prova a dire Silvia, cercando di capire dove si trova. È sdraiata su un tavolo, o qualcosa di simile. Ha le mani e i piedi incatenati agli angoli del ripiano, e nel suo sesso è infilato un lungo tubo di plastica trasparente.

Rama sorride facendo entrare nel campo visivo della ragazza una gabbietta con dentro un topolino. Silvia non capisce ma quando vede l’animale addentrarsi nel tubo, ha un tuffo al cuore. Crede di svenire, invece è ancora lì e il topo è sempre più vicino.

“Carino, vero?” commenta Rama sarcastico. “Il bello verrà quando te lo avrò cucito dentro. Allora, non riuscendo più a uscire, impazzirà e ti divorerà le viscere.”

Silvia urla con tutto il fiato che ha in gola e le sue compagne la ascoltano terrorizzate, ben sapendo che soltanto una di loro si salverà. Forse.

Da quando Silvia è morta, Katia e Debora non dormono più. Il lavandino non manda quasi più acqua e le focacce hanno smesso di arrivare. Non hanno più voglia di parlare, di provare a fare qualcosa e visto ciò che succederà preferiscono non guardarsi più neanche in faccia. Tuttavia, proprio quando il gas arriva, Debora ha un’intuizione. Katia piange e urla, lei no.

Prima che il gas le tolga le ultime forze, si scaglia contro la sua compagna e la azzanna alla gola. Katia si dibatte a lungo sotto il suo attacco, dapprima forte poi sempre più debolmente.

Solo quando la sua faccia è una maschera di sangue e il cuore di Katia ha smesso di battere, Debora molla la presa. Alza gli occhi verso la telecamera e urla: “Sono io la sesta, io!”

Marco Vallarino