Racconto noir pubblicato sul quotidiano Il Secolo XIX del 12 febbraio 2002
Adelaide e Luca si amano da impazzire, ma non possono più stare insieme. Anna e Massimo sono molto innamorati e anche loro stanno per lasciarsi. Serena ama Paolo e Paolo ama Serena, ma è molto meglio fare finta di niente. I giornali sono sotto gli occhi di tutti, insieme alle efferatezze del serial killer degli innamorati, come si è autodefinito. Amori eterni perduti per l’eternità, annegati in un mare di sangue, sepolti sotto cumuli di frattaglie o, peggio, dissolti come neve dall’abbacinante sole della paura di non vedere piú il domani. La donna che tante volte abbiamo baciato, carezzato, amato, si trasforma nel bianco scheletro ammantato di nero che brandisce la falce e presto mieterà la nostra giovane vita. L’uomo che non vi stancate mai di baciare, carezzare, amare, diventa il boia incappucciato che, con un preciso colpo d’ascia, vi spiccherà la testa dal collo. Come si può amare la morte piú della vita? Dieci delitti in tredici giorni e domani è San Valentino. Il serial killer degli innamorati ha promesso che farà gli straordinari e, stiamone certi, manterrà la parola.
Tutto era cominciato con le lettere spedite ai quotidiani di tutta Italia, in cui il sedicente serial killer affermava che avrebbe festeggiato San Valentino con una celebrazione in pompa magna del connubio tra Eros e Tanathos. Amore e morte per tutti coloro che se lo sarebbero potuti permettere. Le lettere erano state pubblicate due giorni dopo, quando il serial killer aveva messo a segno il primo colpo. Una carneficina che sembrava la pubblicità di un antiemetico. La polizia dovette chiamare gli uomini della Ravensburger per rimettere insieme tutti i pezzi e i parenti delle vittime persero decine di diottrie per riconoscere i cadaveri. I soliti esperti dissero che si trattava dell’opera di un maniaco ispirato dall’uscita del nuovo film su Jack lo squartatore. Gli innamorati non batterono ciglio, ma l’indignazione delle innamorate, che non erano certo delle prostitute, fu grande. La polizia faceva il suo dovere: brancolava nel buio. Il massacro era avvenuto a Chiavari, poco lontano dalla città dove erano state spedite le lettere, Genova. Il raggio d’azione del serial killer sembrava quindi piuttosto limitato, ma questo non gli impedì di segnare altre tacche sull’impugnatura della motosega. Santa Margherita, Portofino, Varazze e Spotorno.
Ai funerali la gente è sempre piú depressa, di malumore e, nei pressi della chiesa di Spotorno, un poliziotto che passa di lí per caso rischia il linciaggio da parte di una folla che non ne può piú di pagare le tasse e vedere che le forze dell’ordine se ne stanno con le mani in mano, mentre quello fa quello che vuole.
Serena e Paolo non sono mai usciti insieme. Non ancora, perlomeno. Sanno a cosa andrebbero incontro se lo facessero, ma non possono più aspettare. Non vogliono aspettare. Il loro amore è piú grande della paura. è San Valentino e vogliono trascorrere insieme almeno la sera. Un segretissimo tête-à-tête in casa, per correre meno rischi possibili. Lei prepara una cenetta coi fiocchi, lui porta la bottiglia e un gigantesco orsacchiotto di peluche. La cena è ottima, Paolo e Serena si abbracciano, si stringono e si baciano a lungo. Stappano la bottiglia e brindano al loro amore. Serena si irrigidisce e cade come corpo morto cade. Paolo la segue a ruota.
I poliziotti, arrivati ancora una volta con colpevole ritardo, troveranno un biglietto in tasca a Paolo: «Il serial killer degli innamorati sono io. In un bidone della spazzatura all’inizio di via Roma, troverete i resti della coppietta che ho massacrato stamattina. Non so come si chiamassero, ma dovrebbero essere rimasti abbastanza denti da poterli identificare. Era da tanto che volevo uscire con Serena. Lo confesso, ero innamorato. Anche lei lo era, ne sono sicuro. Eravamo una bella coppia e non potevo esimermi dal fare il mio lavoro. Non avrei mai avuto il coraggio di macellare anche lei e difficilmente sarei riuscito a farmi a pezzi da solo. Spero che l’arsenico sia sufficiente a pagare il nostro debito di sangue. Diamo a Eros ciò che è di Eros e a Tanathos ciò che è di Tanathos.»
«Ma che diavolo vuol dire?» chiederà un poliziotto. L’altro ci penserà un po’ su e alla fine risponderà: «Boh.»