Il Festival di Sanremo è una manifestazione che non ho mai seguito con troppa attenzione. Né come giornalista, né come telespettatore. I miei cantanti italiani preferiti si sono visti di rado sul palco sull’Ariston e anche gli ospiti fuori gara, per i miei gusti, hanno spesso lasciato a desiderare. I giornali per cui scrivo, poi, non mi hanno quasi mai chiesto di occuparmi della kermesse. O almeno non me lo chiedevano da tantissimo tempo. Finché, alla fine di gennaio, non ho ricevuto dalla Rai un accredito a mia insaputa – come si dice – per la sala stampa dell’Ariston. Poco dopo ho scoperto che Il Secolo XIX mi aveva arruolato nella pattuglia di giornalisti che avrebbe dovuto non solo scrivere del Festival, ma anche seguire di persona giorno per giorno i vari eventi sanremesi legati alla rassegna.
Mi sono così ritrovato la mattina di lunedì 5 febbraio all’Ariston per ritirare il mio pass di invi(t)ato speciale. Ho poi raggiunta la vicina – anzi attigua – redazione del Secolo XIX e della Stampa di Sanremo – come sapete dal 2023 facciamo un giornale unico. In breve ho scoperto che anziché di cantanti e canzoni avrei dovuto occuparmi di tutt’altro. Il mio compito infatti sarebbe stato di scrivere quello che nessun altro, dei circa quattrocento giornalisti giunti da tutta Italia per seguire il Festival, avrebbe potuto scrivere. Il mio capo voleva, da una parte, che sfruttassi i miei tanti contatti nell’ambiente per arrivare prima degli altri alle notizie più interessanti e, dall’altra, che mi facessi venire qualche idea.
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